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Anello dei 5 Cimiteri – Forte Interrotto – Monte Zebio 1.717 m.
(Italia – Altopiano dei Sette Comuni – Vicenza)

con visita ai cimiteri di guerra, alle trincee e a tutte le postazioni difensive

anello dei 5 cimiteri


Località di partenza:
parcheggio Via XIX Maggio, Camporovere di Roana, Asiago (VI)

Quota di partenza: 1.057 m.
Quota di arrivo: 1.717 m. (quota max. cima di Monte Zebio)
Dislivello: 1.121 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: la Zona Sacra del Monte Zebio si trova nell’Altopiano dei Sette Comuni a nord di Asiago.
Il Forte Interrotto è invece situato poco a nord del Monte Rasta, vicino al paese di Camporovere di Roana.
I cimiteri di guerra qui descritti sono ubicati: tre alle pendici del Monte Mosciagh (Cimiteri del Mosciagh),
uno in Val Galmarara (Cimitero di Val Galmarara) e uno alle pendici del Monte Zebio (Cimitero della Brigata Sassari)

Difficoltà: E [scala dei livelli delle difficoltà]
Segnaletica e numero di sentiero:
dal Camporovere di Roana al Forte Interrotto: Via XIX Maggio, Via VIII Agosto, Via Monte Interrotto (Sentiero della Pace);
dal Forte Interrotto ad un primo bivio: sentiero della pace, senza numerazione;
dal primo bivio ai Cimiteri del Mosciagh 1 e 2: sentiero della pace, senza numerazione;
dai Cimiteri del Mosciagh n° 1 e n° 2 al Cimitero di Val Galmarara: sentiero n° 833;
dal Cimitero di Val Galmarara al Cimitero del Mosciagh n° 3: sentiero n° 833;
dal Cimitero del Mosciagh n° 3 al Bivacco Stalder e al Cimitero Brigata Sassari: sentiero n° 833;
dal Cimitero Brigata Sassari al Monte Zebio e ritorno: sentiero n° 832;
dal Cimitero Brigata Sassari al bivio presso la Strada del Porchette: sentiero n° 832B;
dal bivio della Strada del Porchette al bivio successivo (Pista Stalder): sentiero senza numerazione;
dal bivio Pista Stalder al bivio Wassar Gruba: sentiero senza numerazione;
dal bivio Wassar Gruba al bivio Dohrbellele: sentiero senza numerazione;
dal bivio Dohrbellele al bivio per il Forte Interrotto: sentiero senza numerazione;
dal bivio per Forte Interrotto a Camporovere di Roana: sentiero della pace senza numerazione
Ore: 8h.
Le ore non tengono conto delle soste e del tempo impiegato per la visita ai cimiteri, alla Zona Sacra di Monte Zebio e
al Forte Interrotto

Distanza: 26,5 km
Tipo di terreno: asfalto, strada militare sterrata, sentiero, pietrisco, roccia
Periodo: da inizio giugno a fine ottobre
Acqua lungo il percorso: nessuna fonte d’acqua lungo l’intero percorso
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Ritorno: dal Monte Zebio si rientrerà a Camporovere compiendo un anello, percorrendo altri sentieri e piste forestali
leggermente più a sud rispetto al percorso di andata


Tecnicamente in breve
Lasciata l’auto nel parcheggio di Via XIX Maggio a Camporovere di Roana (1.057 m.) ci si incammina verso il
centro del paese.
All’incrocio con la Strada Provinciale 349 si prende a destra (via VIII Agosto) fino all’incrocio con via Monte Interrotto,
la quale si percorre fino ad arrivare al Forte Monte Interrotto (1.392 m.).
A circa metà percorso si visita la batteria di Monte Rasta (1.204 m.).
Da qui si continua lungo il Sentiero della Pace seguendo le indicazioni per Mosciagh e Galmarara (il sentiero non
ha numerazione).
Si arriva ad un primo bivio dove si ignora sulla destra la deviazione per la pista Tunkelbalt per continuare dritto
(indicazione per i Cimiteri del Mosciagh).
Percorrendo l’ampia forestale si passa accanto ai primi ricoveri di guerra.
Dopo un lungo tratto nel bosco si arriva in una radura dove è stato posto un monumento in onore della
Brigata Catanzaro; da qui in pochi minuti si arriva ai Cimiteri del Mosciagh n° 1 e 2 (1.501 m.).
Si continua dritti ignorando il sentiero sulla destra che fiancheggia i cimiteri e si arriva ad un bivio.
Da qui si seguono le indicazioni per il Cimitero di Val Galmarara (sentiero n° 833) e, scendendo per una traccia nel
bosco molto ripida e sconnessa, si giunge ad un nuovo bivio.
Lasciata sulla sinistra la deviazione per il bivio Croce del Francese, ci si innalza lievemente sulla destra per arrivare dopo
circa 5 minuti al Cimitero di Val Galmarara (1.410 m.)
 Dal cimitero si torna indietro fino al bivio per i Cimiteri del Mosciagh n° 1 e 2 e si prende la traccia che sale nel
bosco (sentiero n° 833).
Seguendo sempre le indicazioni per il Cimitero del Mosciagh n° 3, il Bivacco Stalder e il Cimitero Brigata Sassari
si supera un primo bivio e un secondo dove si continua per il n° 833.
Risalendo un faticoso sentiero nel bosco, si giunge al Cimitero del Mosciagh n° 3 (1.513 m.)
Da qui si seguono sempre le indicazioni lungo il sentiero n° 833 risalendo un altro tratto nel bosco per arrivare a
visitare un ricovero in caverna dove accanto è stata posta la targa commemorativa in onore del Tenente Igino Giordani. Proseguendo dritti si giunge ad un nuovo bivio dove svoltando a sinistra si arriva al Bivacco Stalder (1.603 m.) 
Ignorando per il momento la prosecuzione sul sentiero n° 832 per il Monte Zebio, dalla struttura si prende a destra
per arrivare dopo una manciata di minuti al Cimitero Brigata Sassari (1.600 m.) presso il quale si può visitare un
ampio complesso di trincee ottimamente restaurate.
Dal cimitero si sale ancora seguendo il sentiero n° 832 per il Monte Zebio e, passando accanto al ridottino italiano
(visitabile), ci si immette sulla strada militare che risale verso la cima.
Giunti ad un bivio si prosegue verso sinistra in salita per entrare nella zona sommitale di Monte Zebio, Zona Sacra;
oltrepassando il punto di scoppio della Mina dello Scalambron si arriva alla Lunetta di Zebio (1.679 m.) dove sorge
un monumento in onore dei soldati della Brigata Catania che qui l’8 giugno 1917 persero la vita.
E’ possibile visitare postazioni e numerose trincee.
Continuando lungo il sentiero si passa accanto alla cima di Monte Zebio (1.717 m.), quindi ad una pozza d’acqua per
il bestiame fino ad arrivare ad una deviazione sulla destra che scende verso Malga Zebio (1.684 m.) che si
raggiunge dopo poco.
Dalla malga si risale per pochi metri il pendio opposto per arrivare al caposaldo austroungarico di
Crocetta di Zebio (1.706 m.) dove si visita un complesso sistema di trincee, postazioni e ricoveri in caverna.
Scesi nuovamente a Malga Zebio si tralascia sulla destra il sentiero che scende per la Val Giardini e si prende a sinistra
dove, dopo una curva, si arriva ad un bivio posto sotto la Crocetta di Zebio.
Con una piacevole deviazione, continuando dritti per pochi minuti, si arriva al Bivacco dell’Angelo (1.655 m.).
Tornati al bivio ci si abbassa lungo la strada militare passando accanto all’altro bivio per la Lunetta di Zebio e
si ritorna al bivio posto poco prima di giungere al Bivacco Stalder, a 1.600 m.
Da questo punto non si prende più il sentiero n° 833 per i Cimiteri del Mosciagh, ma si segue a sinistra il sentiero n° 832B.
Si passa nuovamente accanto al Cimitero Brigata Sassari e alla zona trincerata abbassandosi nel bosco fino
ad oltrepassare anche le strutture di comando italiano per le quali si è provveduto al recupero.
La numerazione dei sentieri poi si perde per lasciare il posto a cartelli segnaletici riferiti a piste di mountain-bike.
Scendendo ancora si passa anche accanto alla zona dove era posto un altro ex cimitero di guerra per il quale
rimangono solo i muretti perimetrali.
Si continua nel bosco per l’ampia pista forestale fino a giungere ad un bivio dove si prende a destra per
la Strada del Porchette.
Arrivati ad un nuovo bivio si continua per la Pista Stalder dove vi sono le indicazioni per il Forte Interrotto.
Ad un nuovo bivio si prende per Wassar Gruba (sempre indicazioni per Forte Interrotto), e la stessa cosa ad un
nuovo incrocio per Dohrbellele.
Dopo un ultimo lunghissimo tratto nel bosco si giunge all’ultimo bivio situato poco distante da Forte Interrotto,
il quale si raggiunge svoltando a sinistra.
Dal Forte a Camporovere è solo una piacevole discesa con vista magnifica sulla conca di Asiago.


Gli scontri a Monte Zebio

La montagna in questione vide numerosi scontri tra italiani e austriaci durante la Grande Guerra.
Le battaglie che qui si svolsero rientrarono nell’Operazione K, ossia il tentativo da parte del Regio Esercito di
riconquistare il terreno perduto, o almeno in parte, dopo la Strafexpedition.
L’Offensiva di Primavera voluta da Franz Conrad von Hötzendorf e partita il 15 maggio 1916, il 16 giugno si
era già esaurita.
In questa data gli austriaci, a corto di mezzi, viveri e munizioni, ricevettero l’ordine dal loro Generale di sospendere
l’attacco e ripiegare su una linea più favorevole data l’imminente controffensiva italiana ordinata da Cadorna.
Gli imperiali quindi, ancora forti nei reparti del 3° Reggimento Schützen e del 73° Reggimento “Von Wüttemberg”,
si erano arroccati nelle loro postazioni difensive che collegavano il Mosciagh allo Zebio, salivano al Monte Zingarella
e Colombara e, passando dai Monti Forno e Chiesa, salivano fin sull’Ortigara.
Da qui le trincee scendevano poi verso la Valsugana.
Monte Zebio quindi si trovava al centro delle operazioni; pur non essendo una montagna molto alta, la sua larga
conformazione precludeva l’accesso a tutte le strade limitrofe che gli italiani avevano intenzione di utilizzare per
spingersi nelle retrovie nemiche.
In particolare al Comando interessava la strada che attraverso Casera Zingarella e Galmarara scendeva fino in Val d’Assa,
raggiungendo Vezzena da dove controllare i rifornimenti che salivano da Levico e Caldonazzo.
Gli austriaci lo sapevano bene e si adoperarono in ogni modo per fortificare e difendere la montagna.
Il vero obiettivo italiano era la Piana di Vezzena e per arrivarci bisognava conquistare la Bocchetta di Portule.
Su questi monti si schierava la 13° e la 28° Divisione del  XX° Corpo d’Armata comandata dal Generale Montuori.
Avanzando a passo spedito, le truppe italiane verso fine giugno si portarono a ridosso dei trinceramenti austriaci
sullo Zebio.
Prima la Brigata Milano, poi la Barletta si lanciarono all’attacco ma i soldati furono respinti dal fuoco delle
mitragliatrici nemiche.
Si avvicendarono altre Brigate.
Si provò a sfondare fino alla fine del mese ma si riuscirono a conquistare solo posizioni di osservazione marginale.
Gli austriaci resistevano molto bene.
Luglio fu un altro mese di furiosi scontri tra l’Interrotto, il Mosciagh e lo Zebio ma senza risultati.
Quando il Comando Supremo si accorse finalmente di continuare a sbattere contro un muro, decretò la
sospensione degli attacchi, ma a che prezzo!
Quasi 130.000 tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, per soddisfare un’idea fissa che balenava negli alti vertici.
Anche gli austriaci registrarono numeri elevati; quasi 80.000 sempre tra morti, dispersi, feriti o prigionieri.
La pausa però fu solo momentanea.
Durante la tregua gli italiani furono severamente impegnati a migliorare e rafforzare le trincee e i camminamenti che
fino ad allora avevano garantito una protezione minima.
Il problema era uno: gli italiani in basso e gli austriaci in alto, lungo posizioni migliori.
Col loro tiro agevolato miravano abilmente sulle nostre trincee anche per il fatto che i due sistemi difensivi si
trovavano a pochi metri di distanza tra di loro.
Dopo la sospensione degli scontri il terreno era irriconoscibile, talmente vi erano cadaveri ammucchiati ormai in
putrefazione e sparsi ovunque.
Furono gli austriaci a invocare un’operazione di recupero degli stessi, al fine di migliorare le condizioni igienico
sanitarie tra i reparti.
In agosto si riprese a combattere molto violentemente; la notte del 6 agosto le poche trincee italiane conquistate a fine
luglio antistanti lo Zebio e occupate dai fanti del 225° Reggimento Brigata Arezzo, vennero investite da un inferno di
bombe e dal fuoco delle mitragliatrici.
Un reparto dell’87° Reggimento Stiriano era uscito all’improvviso dalla trincea austriaca e aveva colto di sorpresa
i nostri soldati.
La trincea italiana era ora un ammasso di rovine mischiate a cumuli di cadaveri.
Gli Stiriani misero fuori uso i nostri fucili e le nostre mitragliatrici.
I baraccamenti di supporto immediatamente nelle retrovie ardevano nel fuoco delle bombe.
Intervenne quindi la nostra artiglieria per mettere in fuga il nemico.
Non potendo più utilizzare quelle trincee, il Comando italiano arretrò la linea.
Le perdite quel giorno furono ingenti, il 225° ebbe 34 morti, 42 feriti e 66 prigionieri fra cui il Sottotenente Cesare Paleari.
L’arrivo dell’inverno, che si rivelerà uno dei più rigidi, fece cessare ulteriori attacchi (e massacri): il Comando italiano
programmò l’offensiva che aveva in mente per i successivi mesi di maggio e giugno 1917.
Il giorno prima dell’assalto all’Ortigara però, 8 giugno 1917, una mina esplose lungo le postazioni italiane della
Lunetta di Zebio, occupate subito dopo dagli austriaci.
Dopo la sconfitta e le tremende perdite sull’Ortigara il Comando abbandonò definitivamente il progetto di sfondamento
verso il Portule e, dopo gli avvenimenti sul settore orientale tra il Piave e il Grappa, le postazioni italiane sull’Altopiano
vennero abbandonate.
Le cause di tutte queste sconfitte che comportarono un così elevato numero di perdite furono molteplici e,
come al solito, il Comando commise molti errori lanciando all’assalto interi battaglioni che non avevano nessuna
possibilità di riuscita apportando attacchi frontali, su terreno malagevole e oltretutto in posizioni svantaggiose
rispetto al nemico.
I nostri soldati poi, costretti nella controffensiva ad inseguire il nemico, arrivarono stanchi e provati sullo Zebio.
Gli austriaci, abbandonando Monte Fior, avevano illuso gli italiani di una possibile vittoria quando in realtà si
apprestavano a difendere ad ogni costo le posizioni sullo Zebio.
Oltremodo la guerra era cambiata e gli assalti frontali con la baionetta, tipici ancora delle guerre di fine ‘800, con
l’invenzione della mitragliatrice non potevano che condurre ad una carneficina.
Gli alti generali lanciarono inutilmente i poveri soldati che venivano falciati dal fuoco delle Schwarzlose.
E, quando le truppe poterono contare sul supporto dell’artiglieria, anziché trarne vantaggio furono massacrate dal
tiro impreciso e troppo corto dei nostri pezzi.
Fecero quasi più morti gli obici e i mortai italiani che i cannoni austriaci.
Negli scontri di Monte Zebio partecipò attivamente la gloriosa Brigata Sassari, capitanata da Emilio Lussu, che ci
racconta molto bene quell’anno di guerra nel suo libro di ricordi
“Un anno sull’Altipiano”.
Monte Zebio si rivelò l’unico obiettivo che la Brigata Sassari non riuscì ad espugnare in quattro anni di guerra.

piantina schieramenti Monte Zebio

il fronte al Monte Zebio (immagine tratta dai pannelli informativi incontrati lungo il percorso di salita)

Quando si pensa di ripercorrere un itinerario storico, in questo caso in uno dei luoghi simbolo della Grande Guerra,
si può erroneamente pensare di imbattersi lungo il tragitto solo in trincee, opere difensive, forti o gallerie.
Questo è vero solo in parte.
In realtà ogni singolo metro che si andrà a percorrere è stato interessato dagli sconvolgimenti della guerra,
ogni pietra racconta una storia.
Non solo grandi opere da vedere quindi ma anche cippi commemorativi, monumenti, cimiteri, targhe, teleferiche, lapidi
e sacrari sono una forte testimonianza.
L’Altopiano di Asiago si è trovato suo malgrado al centro di furiosi scontri durante il conflitto che hanno profondamente
segnato il territorio e cambiato l’animo delle persone.
Se molti probabilmente conosceranno le escursioni storiche più classiche ai forti della zona o a cime segnate in
particolar modo dai bombardamenti, in pochi forse sapranno che in realtà anche i dintorni di Asiago e zone
apparentemente insignificanti presentano numerosissime testimonianze.
Quelle qui descritte rientrano in una della escursioni più famose, ossia la salita verso Monte Zebio, le cui tragiche
vicende legate agli scontri della Brigata Sassari, sono giunte fino a noi dal celebre libro di Emilio Lussu
“Un anno sull’Altipiano”.
Se mi seguirete vi racconterò quindi in dettaglio questo giro soffermandomi a lungo con le descrizioni delle vicende
storiche nei luoghi più duramente interessati dalla guerra.
Una piccola premessa, anzi due.
Se vi aspettate un’escursione in quota con panorami mozzafiato, qui siete fuori strada.
Le ampie vedute sull’Altopiano di Asiago in realtà ci sono dalla cima dello Zebio ma la quota modesta e la vegetazione
estesa rendono comunque un po’ chiuso il panorama.
Per il resto la maggior parte del percorso si svolge nei boschi.
La seconda premessa riguarda la lunghezza e il dislivello, sicuramente non adatti a tutti.
Costoro potranno comunque visitare questi luoghi spalmando la gita su due giorni e scegliendo di volta in
volta cosa vedere.
In realtà potrebbero saltar fuori tre escursioni: una a Forte Interrotto, una ai cimiteri di guerra e una a Monte Zebio.
Io, partendo abbastanza presto al mattino, (verso le 8:30), mi sono sentito di inglobare il tutto in un giro più ampio,
comunque fattibilissimo per chi effettua spesso uscite in montagna.
Una “difficoltà” in tal senso potrebbe essere rappresentata dai numerosissimi bivi e deviazioni lungo il percorso che,
devo essere sincero, a mia memoria rappresentano un record.
In ogni caso cercherò di fugare ogni dubbio con un racconto il più possibile preciso.

In una bellissima giornata di sole arrivo a Camporovere di Roana, paese vicinissimo ad Asiago, dove lascio l’auto
nel grande parcheggio di via XIX Maggio.
Infilato lo zaino sulle spalle mi incammino per tale via puntando verso il centro del paese, arrivando poco dopo all’incrocio
con la Strada Provinciale 349 (via VIII Agosto).
Qui svolto a destra ma solo per un breve tratto, ossia fino ad incrociare sulla sinistra la seconda via che sale verso
la montagna, via Monte Interrotto.
Imbocco questa strada lasciandomi alle spalle il rumore delle auto che comunque in un piccolo paesino come questo è
piuttosto limitato.
Da qui inizia l’escursione vera e propria che come prima meta di giornata vede l’arrivo al Forte Interrotto.
Guardando bene la montagna di fronte lo si vede già; per essere un forte ha un aspetto stranissimo, quasi medievale,
e in realtà viene chiamato erroneamente forte quando è più un ex caserma militare.
Ma di questo vi racconterò a tempo debito.
La strada asfaltata, piuttosto stretta, inizia a salire dolcemente permettendo piacevoli vedute sulla conca di Asiago.
In teoria si potrebbe salire al forte con l’auto ma due sono gli inconvenienti: il primo è che lassù ci saranno sì e no tre
posti auto e il secondo è che più in alto, la strada sovente viene chiusa per il transito di camion addetti al trasporto legna.
In poche parole, meglio non rischiare e partire dal paese.
E poi, che gusto ci sarebbe a rovinarsi una piacevole passeggiata?
Minor dislivello?
Ma dai, noi siamo allenati, vero?
Dopo due tornanti secchi si incontra una stradina sulla sinistra che in pochi metri conduce alle batterie del Monte Rasta.
La zona, interamente visitabile, è caratterizzata da ricoveri per cannoni, postazioni difensive e passaggi in galleria protetti.
Nelle ampie piazzole venivano collocati i pezzi di artiglieria, quattro cannoni da 87 mm B (bronzo) che avevano lo
scopo di supportare il forte soprastante.
Da questo punto si dominava la piana di Asiago, allora certamente non invasa dalla marea di case e palazzi che oggi
sembrano sorgere come funghi.
Terminata la visita proseguo lungo la mia salita arrivando al termine dell’asfalto ed entrando nel bosco; la strada
sterrata che qui inizia, in realtà la vecchia strada militare del forte (oggi Sentiero della Pace), si fa più ripida e
dopo numerose rampe e tornanti mi conduce presso l’ultimo contrafforte roccioso poco sotto al forte.
A questo tornante mi fermo di colpo perché attratto da un contrafforte roccioso nel quale sono state ricavate due caverne
che mi fiondo a visitare dopo aver indossato la frontale.
Risalito qualche metro il ripido pendio che separa le caverne dalla strada mi trovo di fronte a due antri ormai franati
e per giunta invasi dalla vegetazione.
Suppongo che non siano visitabili e che la gente non si sogni di entrare.
Io, per farlo, sono costretto ad inginocchiarmi e a scansare rami ed erba, per poi ritrovarmi in una grotta buia
piena di macerie.
Un po’ di rischio a stare qui dentro c’è, sono consapevole, ma pochi minuti mi bastano per muovere qualche passo.
Non sono semplici caverne per artiglieria ma veri e propri cunicoli, gallerie che un tempo conducevano verso il forte,
probabilmente nella Piazza d’Armi.
A testimonianza illumino questi passaggi che salgono chiaramente nella montagna.
Questi corridoi, pur presentando una volta naturale di roccia, sono cementati nelle pareti, purtroppo per la maggior
parte franate.
Alcuni anfratti sono ancora intatti e presentano ancora il legname di una volta a sorreggere gli ingressi.
Ci sono macerie ovunque più avanti che impediscono di proseguire, un peccato perché si potrebbe recuperare
interamente questo fortino e metterlo in sicurezza.
Tornato alla luce del sole percorro l’ultima rampa prima di arrivare a Forte Interrotto dal quale si apre una magnifica
vista sull’Altopiano di Asiago e sul paese omonimo dove, sul Colle del Leiten, sorge il Sacrario Militare.


Il Sacrario Militare di Asiago e i 5 Cimiteri

Questo Sacrario è diventato col tempo uno dei più importanti Ossari della provincia di Vicenza, assieme a quelli
del Pasubio, del Grappa e di Tonezza del Cimone.
Intorno al 1932 nacque l’idea di raccogliere in un unico luogo tutte le salme italiane presenti nei numerosi cimiteri
di guerra disseminati in tutto l’Altipiano di Asiago e così il compito di costruire un’apposita struttura venne affidata
all’architetto Orfeo Rossato che la ultimò nel 1936.
Nel 1938 si procedette a trasferire al suo interno quasi tutte le salme italiane.
Alla fine degli anni ’60 si presero accordi con l’Austria per trasferirvi all’interno anche numerose salme austriache,
rimaste fino ad allora a riposare nei cimiteri.
Non tutte però, in quanto l’Austria chiese espressamente che 5 cimiteri austroungarici non venissero toccati.
Questi cimiteri sono proprio quelli che si trovano tutt’ora intorno e sulle pendici del Monte Mosciagh.
Nel Sacrario di Asiago riposano 33.086 caduti italiani (di cui 12.795 noti e 20.291 ignoti), 18.505 caduti austroungarici
(di cui 6.150 noti e 12.355 ignoti) e 3 caduti della Seconda Guerra Mondiale.
Le salme provengono da ben 36 cimiteri di guerra dell’Altopiano di Asiago e tra queste vi sono 12 caduti noti
decorati con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
I numeri dei caduti ben testimoniano la portata di questo conflitto devastante; senza contare che sono ancora
moltissimi oggi i dispersi sull’Altopiano.

sacrario di asiago

il Sacrario Militare di Asiago

Di fronte al Forte Interrotto rimango un po’ spiazzato: la struttura sorge su un bel terrapieno erboso ma…
è un forte o un castello?
La costruzione è del tutto singolare e in due angoli della struttura si innalzano poderosi torri dotate di feritoie,
queste ultime presenti anche lungo tutti i muri di cortina.
In realtà più che un forte, come viene erroneamente chiamato, era un’ex caserma militare italiana, poi occupata
dagli austriaci.
E’ interessantissimo studiarne la pianta e le particolari forme compiendone il periplo esterno, mentre all’interno si
rimane incantati dalla grande Piazza d’Armi dominata da grandissime volte in mattoni.
La visita si limita ai vari locali ristrutturati al piano terra in quanto la struttura è stata seriamente lesa e
mancano i piani superiori.
Consiglio però a chiunque di venire a vedere questo bizzarro forte, raggiungibile molto facilmente da Camporovere.
Vale davvero la pena anche perché rimane unico nel suo genere.

Forte Interrotto
All’ex caserma difensiva di Monte Interrotto è stato un po’ impropriamente dato l’appellativo di forte in quanto si è
trovata coinvolta negli scontri della Grande Guerra.
La struttura infatti è antecedente alle vicende belliche, essendo stata costruita nella seconda metà dell’800.
Il nome del forte non deriva dal fatto di essere rimasto incompiuto, ma dal nome del monte sopra il quale venne eretto, “Hinterrucks” in cimbro, cioè “cima posta a nord”.
Interamente in pietra, quindi non adatta a resistere ad alcun tipo di artiglieria di guerra, quest’opera curiosa che
sorge a 1392 metri di quota, rimane del tutto fuori dalle moderne logiche dei conflitti dei primi del 1900.
Curioso è anche il fatto che per la costruzione di questa grande caserma militare (che all’inizio ospitava il Battaglione
Alpini Bassano e aveva lo scopo di difendere questa parte della conca di Asiago e di fungere da osservatorio per le
vicine batterie mobili di cannoni), ci si è ispirati a modelli architettonici di stampo medievale, in un’epoca in cui già
l’industria bellica stava compiendo passi da gigante.
Tanto è vero che negli angoli sud-est e nord-ovest vi sono due torri di 10 metri di diametro e, come nei tipici castelli,
tutto intorno alle mura corre un fossato largo 5 metri dove nel lato sud si trovava anche un ponte levatoio.
Le caratteristiche arcate che ancora oggi si possono ammirare, erano coperte da un muro che nel dopoguerra,
in seguito alle esercitazioni militari è crollato al suolo.
Durante la Prima Guerra Mondiale, il Forte Interrotto venne armato secondo alcune fonti con 2 cannoni da 120 mm in
casamatta o, secondo altre, con 2 cannoni da 75 mm B su affusto rigido.
A questa artiglieria faceva seguito tutta una dotazione di mitragliatrici.
Dall’inizio delle ostilità quest’opera non venne mai a trovarsi sul fronte degli scontri, ma venne occupata in seguito
dagli austroungarici il 27 maggio 1916 con l’Offensiva di Primavera che lo riammodernarono e lo conservarono
facendone un vero baluardo della linea imperiale, fino alla fine della guerra.
Durante la conquista austriaca venne pesantemente danneggiato e lo stesso trattamento venne a lui riservato nel
dopoguerra quando si svolsero varie esercitazioni militari.
Come si può vedere oggi, il forte era dotato ovunque di feritoie, predisposte per ospitare 4 pezzi di artiglieria e 115
postazioni per fucilieri per ognuno dei 4 lati della struttura.
L’opera era collegata direttamente con la batteria sottostante di Monte Rasta, (dove gli austriaci costruirono poi un
osservatorio circolare corazzato) e dotata di un potente riflettore che illuminava a giorno il pendio verso Camporovere.
All’interno del forte c’erano tutti i locali essenziali e di servizio, tipicamente di forma medievale: cucine, stalle, depositi
per viveri, munizioni e legname, un pozzo, un piano di raccolta per i serbatoi di combustibile e acqua presso
la Piazza d’Armi e una guardiola all’ingresso.
In anni recenti il forte è stato interessato da un importante progetto di recupero col quale si è provveduto a consolidare
l’opera e a ricostruirne le parti crollate, soprattutto nelle torri e nelle cortine.
Nel 2015, in occasione del Centenario della Grande Guerra, si è installata una struttura in alluminio chiamata
“Suono Interrotto” costituita da 100 tubi del diametro di 3,5 cm (100 in occasione del Centenario e 3,5 la durata del conflitto). Accarezzando questi tubi esce un suono rilassante e di pace, in antitesi coi sordi boati dei cannoni e le urla
dei soldati che imperversavano durante gli scontri sanguinosi.
Le rovine del forte sono oggi visitabili esternamente, mentre all’interno si può camminare nella Piazza d’Armi e
visitare qualche locale al livello del terreno.
Impossibile salire ai due piani superiori; mancano le scale e i piani stessi.

Dopo un’accurata visita che mi porta via circa un’oretta, riprendo il mio cammino verso il Monte Zebio.
Un bel cartello posto sulla strada del forte riporta le indicazioni per il Monte Mosciagh e la Val Galmarara,
senza specificare altro.
La direzione è giusta, ma dobbiamo tenere presente che su queste indicazioni, pensate anche per le mountain-bike,
non viene riportato alcun numero di sentiero, che invece troveremo più avanti, quando il bosco e le roccette non
consentono più il passaggio dei mezzi a pedali.
Quindi, ricapitolando: le propaggini sud di queste montagne e verso Asiago sono caratterizzate da grandi strade forestali
sterrate adibite anche a percorsi per ciclisti, mentre in tutta la parte alta si trovano i classici sentieri di montagna con
indicazioni più propriamente per escursionisti.
Questo aspetto è fondamentale da sapere al fine dell’orientamento, dato che da qui in avanti vi saranno un’infinità di
bivi e diramazioni.
Dal Forte Interrotto, per il momento, do anche un arrivederci al panorama, poiché d’ora in avanti affronterò un
lunghissimo cammino in fitti boschi.
Di fronte a me vedo arrivare un camion che trasporta una grossa quantità di legname.
Come scoprirò tra un po’, non è una manutenzione ordinaria del bosco, ma uno straordinario intervento di recupero
della legna dovuto all’abbattimento di milioni di alberi durante la tempesta Vaio del 2018.
I lavori, nel 2021, non sono ancora terminati.
Ripresa la mia andatura seguo la bella strada, qui pianeggiante, che lentamente si avvia verso un bosco di conifere.
Gli ultimi raggi di sole prima dell’ombra e della frescura data dalle piante.
Dopo soli 300 metri giungo ad un primo bivio dove proseguo dritto ignorando la deviazione sulla destra (sentiero dal
quale ritornerò).
Qui la nuova segnaletica riporta l’indicazione dei Cimiteri del Mosciagh: il mio prossimo obiettivo.
Poco oltre, sulla destra, appare dal folto della vegetazione una costruzione in pietra con due ricoveri per artiglierie.
Purtroppo non riesco ad entrarvi in quanto davanti a me si erge un muro insormontabile di trochi ed erba alta, che
ostruisce per la maggior parte gli ingressi.
Il sentiero entra maggiormente nel fitto bosco di conifere dove in molti punti, a bordo strada, sono accatastati grossi
quantitativi di tronchi.
C’è un silenzio e un senso di pace che stordisce, una natura viva che mi accompagna col suo respiro assieme al
canto di varie specie di uccelli tra le quali, dato l’inconfondibile tambureggiare, riconosco il picchio.
A parte una coppia di escursionisti non incontro nessuno.
Lo sviluppo di questo sentiero forestale verso il Mosciagh è piuttosto lineare e dritto, sebbene non sia infrequente
incontrare qualche dolce curva e qualche saliscendi.
Dopo una curva inizio a sentire un rumore in lontananza di motoseghe e di un camion col motore acceso.
Ecco che la magia del bosco si interrompe bruscamente.
Altro che taglio di un albero, svoltata l’ennesima curva trovo proprio la strada sbarrata!
Tronchi ovunque, una teleferica in movimento addetta al trasporto legna e, di supporto, un enorme camion carico di
tronchi a sbarrare la carreggiata.
Scoprirò poi che il percorso verso il Mosciagh era precluso a causa di lavori forestali ma, a onore di cronaca, non ho
mai incontrato cartelli di lavori in corso e divieti vari e vani risultano i miei tentativi di trovare un pertugio camminando
sopra ad uno strato di cortecce spesso un metro.
Non voglio certo rinunciare alla mia escursione per cui, dopo qualche minuto trascorso a fissare tutta quella legna, mi
viene un’idea elementare ma che devo scoprire se fattibile.
Data l’impossibilità di scendere sotto al pendio rispetto ai lavori, troppo ripido e invaso dalla legna, opto per rimontarlo
tagliando a monte, cercando di non perdere di vista la strada principale e di farmi largo tra gli arbusti e il sottobosco.
Torno indietro prima della curva e inizio a risalire il pendio, tagliando di fatto un ampio tornante e disboscando con le
mani i rami presenti per farmi un passaggio.
L’operazione riesce e io mi ritrovo dall’altra parte dei lavori di nuovo sulla bella forestale.
Che fatica però!
Dopo ancora un buon tratto giungo in una piccola radura con una pozza d’acqua per il bestiame.
Accanto, su un masso, è stato posto un monumento in ferro in onore della Brigata Catanzaro ed esattamente per il
141° e 142° Reggimento Fanteria.
Accanto, un’insegna di legno riporta il motto della 141° Fanteria:
“Sul Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone”.
Come spesso soleva fare Mario Rigoni Stern camminando in questi luoghi, anch’io mi sento di fermarmi per rivolgere un
pensiero profondo ai fanti della Brigata Catanzaro che qui persero la vita.

La Brigata Catanzaro sull’Altopiano di Asiago
Il 141° e 142° Reggimento della Brigata Catanzaro
La Brigata Catanzaro, costituita il 1° marzo 1915 e formata dal 141° e 142° Reggimento Fanteria, contava circa 6.000
uomini e faceva parte della III Armata comandata da Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta.
La Brigata partecipò attivamente alla guerra negli scontri sul Monte Belmonte, Monte Cengio, Monte San Michele,
Monte Magnaboschi e in altre parti del fronte subendo perdite pari a 2.468 uomini mentre furono 12.867 i feriti e
2.203 i dispersi.
La Bandiera del 141° Fanteria fu tra le poche decorate con la Medaglia d’Oro al Valor Militare che venne conferita
il 28 dicembre 1916 con la seguente motivazione:
Per l’altissimo valore spiegato nei molti combattimenti intorno al San Michele, ad Oslavia, sull’Altipiano di Asiago,
al Nad Logem, per l’audacia mai smentita, per l’impeto aggressivo senza pari, sempre e ovunque esempio ai valorosi.

Luglio 1915 – agosto 1916
.

Il 5 giugno 1920, sempre alla Bandiera, venne invece conferita la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia con la
seguente motivazione:
Nei duri cimenti della guerra, nella tormentata trincea o nell’aspra battaglia, conobbe ogni limite di sacrificio e di
ardimento; audace e tenace, domò infaticabilmente i luoghi e le fortune, consacrando con sangue fecondo la romana virtù
dei figli d’Italia.
Guerra 1915-18”.

La Bandiera del 142° ottenne la Medaglia d’Argento con la seguente motivazione:
“Per valore spiegato nei combattimenti intorno a Castelnuovo del Carso e Bosco Cappuccio, sull’Altopiano di Asiago,
al S. Michele, nella regione dei Boschini ed al Nad Logem, per lo spirito aggressivo e l’alto sentimento del dovere
sempre dimostrati
(luglio 1915 – agosto 1916).

Dai colori rosso e nero delle mostrine venne ricavato il motto della Brigata:
“Portiamo i colori del sangue e della morte
ovunque vincitori”
.
Non solo il Comando Italiano, ma anche quello Austriaco la considerarono tra le più tenaci e valorose Brigate italiane;
per tale motivo questi soldati vennero spesso chiamati durante gli assalti.
Dopo aver subito ingentissime perdite il 16 luglio 1917 avvenne la rivolta della Brigata, la più grave di tutto il fronte italiano,
a causa della spinta continua da parte dei Comandi all’impiego degli uomini negli assalti seppur talvolta con sparuti gruppi.
Questo episodio nulla tolse però alle valorosissime gesta di questi soldati.

monumento alla Brigata Catanzaro

il monumento ai caduti della Brigata Catanzaro

L’avvio della Strafexpedition (Offensiva di Primavera)
Il 15 maggio 1916 l’Austria lancia una poderosa offensiva contro l’Italia, colpevole, a suo dire, di averla tradita uscendo
dalla Triplice Alleanza.
L’obiettivo dell’Impero è quello di raggiungere la pianura vicentina
sfondando sugli Altipiani Cimbri e su quello di Asiago,
l’obiettivo italiano è l’opposto, resistere ad ogni costo.
Tra il 15 e il 19 maggio i forti austroungarici battono con le loro artiglierie le linee di difesa italiane, sconvolgendo il
fronte e cogliendo impreparati i nostri uomini.
Dopo accesi scontri avvenuti tra Vezzena e il Portule, il 19 maggio tutte le linee difensive italiane crollano.
Vani sono i sacrifici dei soldati che tentano di resistere lungo la seconda e la terza linea di difesa.
Accorrono a dar man forte altre Brigate di Fanteria, ma vengono dislocate male e in modo caotico.
Il nemico preme in modo massiccio e mette alle corde gli italiani.
La 34^ Divisione il 22 maggio deve ripiegare sulla terza linea (Cima Portule – Monte Meatta – Monte Mosciagh –
Monte Interrotto – Punta Corbin – Monte Cengio) che non può contare sull’arrivo a breve di forze fresche.
Quello che resta delle Brigate Salerno, Alessandria e Lambro il 25 maggio si riposiziona tra il Mosciagh e il Monte Interrotto.
Anche la Brigata Ivrea è costretta a cedere terreno e ripiegare.
In questa situazione disperata giungono sull’Altopiano i fanti della Brigata Catanzaro, presi urgentemente dal Friuli
insieme ai Granatieri di Sardegna e impegnati entrambi a combattere sul Carso.
L’ordine dato alle due Brigate non lascia spazio ad equivoci: carcare di arrestare in ogni modo l’avanzata del nemico.
I fanti della
“Catanzaro”, salendo sull’Altipiano incontrano gli abitanti in fuga dai vari paesi e diretti verso la pianura con
al seguito le poche cose che riescono a trasportare.
I profughi riportano i segni della guerra e della miseria e raccontano di come lassù tutto sia quasi perduto.
Nel frattempo sono caduti in mano agli austriaci anche i Forti Verena e Campomolon.
A Roana e a Camporovere vi sono duri scontri mentre Asiago è avvolta tra le fiamme.
I combattenti delle due Brigate increduli ascoltano i tragici avvenimenti ma non si scoraggiano per un solo istante.
Capiscono che la Patria è in pericolo e mai come ora sono richiesti uno sforzo e un sacrificio inimmaginabile.
I soldati marciano soprattutto di notte e risalgono tra le boscaglie per le pendici dell’Altipiano, senza una precisa guida
su dove andare.
Col fucile in mano e la baionetta innestata avanzano, ignorando la posizione del nemico e dei superstiti italiani.
Alla mattina del 26 maggio 1916 al I e II Battaglione del 141° viene ordinato di occupare Monte Interrotto e Monte Mosciagh
dove resistono ancora i superstiti del 89° Reggimento Fanteria della Brigata Salerno comandati dal Colonnello
Luigi Amantea.
Risalendo le pendici del Monte Rasta e Monte Interrotto ai fanti del 141° si presenta davanti uno spettacolo orribile
con cavalli che fuggono correndo all’impazzata dalla montagna e altri che feriti sono agonizzanti a terra.
Incontro ai fanti accorre il Maggiore d’Artiglieria Luigi Cigersa che fu poi insignito della Medaglia d’Oro alla Memoria
con la seguente motivazione: 
“Comandante di gruppo, sostenne per più giorni dura lotta con le artiglierie nemiche, cadendo alfine colpito a morte
– Monte Mosciagh, 25-26 maggio
.
Il Maggiore esorta i fanti ad accorrere immediatamente verso la cima del Mosciagh, occupata dagli austroungarici con
l’inganno: camuffati coi cappelli da Bersagliere avevano da poco attaccato le Batterie del 5° Reggimento di Artiglieria da Campagna, impossessandosi dei 6 cannoni invano difesi dagli artiglieri muniti di moschetti e baionette.

Sul Monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone
Non appena sceso il buio, tra il 27 e il 28 maggio, il II Battaglione del 141° lancia un attacco alla baionetta alla cima
del Mosciagh con l’obiettivo di riprendere possesso dei cannoni.
Lo scontro è cruento e va avanti per due ore di notte.
Sono molte le perdite: 10 ufficiali e un centinaio di soldati ma alla fine la linea dei cannoni è raggiunta.
Gli artiglieri sotto la guida del Tenente Fiore della 6^ Batteria, riescono a recuperare sei cassoni portamunizioni e un
cannone che viene condotto verso Asiago con l’ausilio di due cavalli feriti.
Gli altri cannoni, con gli affusti ormai danneggiati, vengono privati almeno delle parti essenziali.
La battaglia del Mosciagh ha subito un grosso eco in tutto il Paese e viene esaltata dal Comando Supremo nel
bollettino n° 369 del 29 maggio 1916:
“Sull’Altopiano di Asiago le nostre truppe occupano attualmente, affermandovisi, le posizioni a dominio della conca di Asiago.
Un brillante contrattacco delle valorose fanterie del 141° Reggimento (Brigata Catanzaro) liberò due batterie rimaste
circondate sul Monte Mosciagh”
.
Da questo episodio deriva il glorioso motto del 141° Fanteria da cui il titolo e la Medaglia d’Oro al Valor Militare della
Brigata e al Sottotenente Adolfo Zamboni, rimasto gravemente ferito negli scontri.
Questo terribile scontro sul Mosciagh fu anche la svolta che portò man mano al fallimento della Strafexpedition.
Ricorda così il Generale Cadorna:
“Pure, fra tante angosce, una sensazione si faceva strada in me.
Era, in principio, assai incerta e debole e poteva apparire più illusione che speranza.
Ma, dal 27 al 28 maggio mi era parso, a un tratto, che fosse finita per gli Austriaci la fase più bella del tentativo, l
’avanzata irresistibile, quella che ogni giorno ci apriva una ferità di più nella carne”
.

Lungo l’estremo baluardo meridionale dell’Altopiano
La situazione rimaneva grave ovunque e la resistenza era vana in più punti.
L’ordine che giunge dal Comando Supremo è quello di richiamare le truppe che dovranno ripiegare lungo una nuova
linea
difensiva imbastita lungo il margine meridionale e orientale dell’Altopiano.
Lì, si deciderà l’esito della guerra.
La mattina del 28 maggio viene comunicato il triste ordine anche ai fanti della “Catanzaro”  ma nell’arretramento si
muoverà per ultima, proteggendo gli altri reparti e consentendo loro di raggiungere la nuova posizione.
Dolorosamente i soldati della Brigata accettano la decisione col cuore affranto, dato che la conquista della
Cima del Mosciagh è costata loro più di cento morti.
E’ ancora più doloroso il fatto che i morti devono essere abbandonati senza poter dare loro una degna sepoltura.
Verranno messi in una fossa sotto alcuni abeti subito dietro il posto di medicazione.
Gli uomini in ritirata sfilano in rispettoso silenzio davanti ai loro compagni che hanno dato la vita per la
conquista del Mosciagh.
Gli austriaci intanto lanciano tutto quel che hanno e tutte le loro fanterie contro le propaggini meridionali dell’Altopiano
investendo la linea dal Monte Cengio a Magnaboschi, con l’obiettivo di sfondare e scendere verso la pianura vicentina.
Il 30 maggio alla Brigata Catanzaro perviene l’ordine di accorrere subito sul Monte Belmonte e sul Cengio dove
insieme ai Granatieri di Sardegna combatte strenuamente il nemico.
Sintetizzando la Battaglia di Monte Cengio, (descritta altrove), si può dire che gli scontri più sanguinosi avvengono
dal 1° al 3 giugno.
Il nemico conquista il Cengio ma paga uno scotto enorme in termini di vite umane.
Il 141° ribatte costantemente i ripetuti assalti austriaci e per ben 7 volte tenta di muovere al contrattacco.
Alla sera del 3 giugno viene dato l’ordine di ripiegare e, senza più alcun ufficiale, tornano in 50.
Altri superstiti della Brigata vengono attaccati sempre il 3 giugno a Magnaboschi e si battono come leoni sotto la
guida del Generale Carlo Sanna e del Colonnello Gavino Manunta che, come i fanti, attaccano alla baionetta.
Alcuni reparti della Brigata respingono intanto gli assalti diretti verso la Val Canaglia sull’orlo della quale gli austriaci
vedono la pianura.
Solo il 3 giugno il Diario Storico del 141° Fanteria registra 333 morti, 431 feriti e 456 dispersi.
Al mattino il Reggimento contava 3.121 uomini.
Respinti gli assalti e col nemico in ritirata il Comando Supremo annuncia al Paese la fine della Strafexpedition e una
pronta controffensiva italiana da attuarsi lanciando all’assalto un’intera nuova Armata.
I superstiti di quegli scontri scendono lentamente verso valle e verso Vicenza.
La Brigata Catanzaro viene in seguito richiamata sul Carso dove parteciperà alla 6° Battaglia dell’Isonzo riuscendo
ad occupare il San Michele.

forte interrotto targhetta

il motto della Brigata Catanzaro

Superata un’altra macchia di bosco arrivo in una radura più grande dove vi sono i Cimiteri del Mosciagh n° 1 e 2,
delimitati ai lati da una catena e da un cancello in ferro che ne consente l’accesso.
Sono cimiteri autentici, le salme non sono state trasferite altrove ma riposano ancora qui.
In rispettoso silenzio mi avvicino per onorare questi caduti.

(foto in b/n tratta dall’Archivio storico del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza)

I Cimiteri della Grande Guerra
I cimiteri e gli ex cimiteri rappresentano la testimonianza più forte e toccante lasciata sul territorio dalla Prima Guerra
Mondiale, e in tutto l’Altopiano dei Sette Comuni si possono trovare ovunque: nei paesi, nei boschi, nei campi di battaglia
e nelle Zone Sacre.
Per la maggior parte sono ex cimiteri nei quali oggi resta solo una croce di legno o un cippo a ricordare le centinaia di
caduti sepolti fino alla fine delle ostilità.
Gran parte delle salme infatti vennero trasferite nel dopoguerra nel Sacrario di Asiago.
Nei Cimiteri del Mosciagh n° 1,2 e 3, in quello di Val Galmarara e in quello della Brigata Sassari riposano ancora
centinaia di soldati austroungarici e italiani caduti durante i sanguinosi scontri del conflitto.


I Cimiteri del Mosciagh n° 1 e 2
In questi due cimiteri riposano 1.142 soldati dell’Armata Austroungarica (22° Divisione Schützen), prevalentemente
composta da Reggimenti Stiriani.
I due cimiteri sono stati rinnovati tra il 1989 e il 1990 con la collaborazione della Comunità Montana, del Comune di
Asiago, delle Forze Armate Italiane, dell’Associazione Italiana Alpini, di Privati e della Croce Nera Austriaca
(Assistenza Onoranze Caduti).

Cimitero del Mosciagh

il Cimitero del Mosciagh n° 1

Cimitero del Mosciagh 2

il Cimitero del Mosciagh n° 2

Un sentiero che costeggia i cimiteri ed entra nel bosco mi porterebbe direttamente al Cimitero n° 3, ma per il
momento lo ignoro.
Dopo un ultimo saluto alle salme seguo le prime indicazioni escursionistiche riportanti il sentiero n° 833, in
direzione della Val Galmarara.
Arrivo ad un trivio dove per il momento continuo a seguire il mio sentiero che, entrato nuovamente in un bosco molto
cupo ma suggestivo, all’improvviso scende ripido verso la suddetta valle.
E’ un tratto sconnesso e impervio, tuttavia la strada è sempre bella larga e tra una pietra e l’altra lentamente perdo quota.
Non c’è davvero nessuna presenza, nessun umano.
Le altissime conifere incombono sulla mia testa oscurando il sole e l’azzurro del cielo: è un tratto molto buio che incute
un certo timore, soprattutto quando all’improvviso si sentono secchi tonfi o rumori di rami spezzati che fanno un
po’ sobbalzare.
Sul pendio quasi verticale alla mia destra scorgo in lontananza un daino.
Probabilmente è stato lui a muovere quei rami.
La rampa è abbastanza lunga e faticosa ma alla fine giungo in piano dove incontro un altro bivio nel quale gli
alberi si diradano.
Le indicazioni sono chiare, risalgo per qualche metro verso destra per oltrepassare i ruderi in cemento di quello che
forse era una latrina o un basamento di una teleferica.
Al di sopra, sparsi ovunque, ci sono lattine, barattoli arrugginiti che contenevano la gavetta dei soldati.
Dopo un brevissimo tratto ancora nel bosco, arrivo in una radura isolata e circondata da enormi conifere nella quale
è racchiuso il Cimitero di Val Galmarara.
Anche qui ci sono numerosi croci e lapidi che ancora una volta non possono non far riflettere sulle inutili stragi
che si sono compiute.
Ragazzi come me e come chiunque altro che non hanno potuto vivere la loro vita.
Rispetto e un pensiero profondo vanno a loro.

Il Cimitero di Val Galmarara
In questo cimitero del fronte di guerra riposano 121 soldati dell’Armata Austroungarica dei Reggimenti
LIR 3, SCH R 3, IR 11, IR 18, IR 55, IR 73, IR 87, IR 225 ecc., caduti in questi luoghi nelle battaglie del 1915/18.
Il Cimitero è stata restaurato nel 1994 in collaborazione con il Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra,
la Comunità Montana, Comune di Asiago, 6° Regg. a. mon. d. Bassano, Privati e la Croce Nera Austriaca.

Cimitero di Val Galmarara

il Cimitero di Val Galmarara

Torno sui miei passi affrontando nuovamente l’ombroso e buio tratto nel bosco.
La pendenza è davvero notevole e il fiato si fa subito corto.
Ma questa pace della natura e questo senso di isolamento non lo si trova altrove.
Giunto nuovamente al trivio ora imbocco la larga strada forestale a sinistra, il Sentiero dei 5 Cimiteri n° 833.
Da qui in poi è tutto bosco, meno cupo del precedente ma sempre fitto di rami e pini.
La traccia, poi sentiero, gioca a fare lo slalom tra queste piante rendendo il percorso molto particolare.
Sono sempre avvolto da un mantello naturale incredibile e accompagnato dai più disparati suoni del bosco che
regalano piacevolissime sensazioni.
Incontro un primo bivio (ma quanti sono?), nel quale tengo la sinistra, un secondo, dove prendo a destra, e infine l’ultimo,
nuovamente a sinistra.
Va detto che ci sono sempre indicazioni chiare e precise.
Ancora un sinuoso percorso in salita tra le piante e qualche roccetta e arrivo forse nel posto più isolato e
inimmaginabile che possa esistere: una piccola radura illuminata dal sole tra il folto degli alberi dove regna il silenzio più
assoluto e riposano le salme di altri soldati austroungarici ai quali rivolgo un altro pensiero profondo.

Il Cimitero del Mosciagh n° 3
In questo Cimitero dei Caduti di Guerra, riposano 209 soldati dell’Armata Austroungarica, in prevalenza provenienti
dal Reggimento Fucilieri Nr. 3, caduti durante le battaglie del 1915/18.
Il Cimitero è stato rinnovato nel 1989/90 con la collaborazione della Comunità Montana, del Comune di Asiago, delle
Forze Armate Italiane, dell’Associazione Italiana Alpini, dei Privati e della Croce Nera Austriaca
(Assistenza Onoranze Caduti).

Cimitero del Mosciagh 3

il Cimitero del Mosciagh n° 3

Mi rimettto in cammino, e seguo sempre il sentiero n° 833 che prende a salire verso est per la montagna.
Il sentierino si restringe notevolmente continuando a serpeggiare tra i tronchi dei pini e superando le prime roccette.
Anche in questo tratto si incontrano numerosi tronchi abbattuti dalla tempesta Vaia che, tuttavia non ostruiscono il
cammino in quanto tagliati.
Anche questa è un’immersione totale nella flora del posto, un’esperienza davvero unica e suggestiva.
Al termine di un lungo tratto in pendenza, giungo nei pressi di una grossa roccia sulla sinistra, dove c’è anche un
ricovero in caverna della guerra.
All’esterno dell’ingresso è stata posta una targa in memoria del Tenente Igino Giordani:

“A memoria del Tenente Igino Giordani gravemente ferito in azione di guerra sul Monte Mosciagh 7 luglio 1916.
Medaglia d’Argento V.M. scrittore, giornalista, deputato, cofondatore movimento focolari, servo di Dio”
.

Superato un altro tratto di sentiero e un crinale, la traccia piega con più decisione verso nord arrivando ad un
ennesimo bivio.
Anche qui non si può sbagliare: continuando dritti si arriva prima al Bivacco Stalder e poi al Cimitero Brigata Sassari.
Il bivacco è una moderna struttura in cemento posta su un bel terrazzino erboso soleggiato.
L’unica cosa è che inspiegabilmente è chiuso, il che serve a poco in caso di emergenza.
Seguendo ancora per qualche metro la segnaletica, arrivo in una grande conca naturale dove rimango impressionato
da ciò che vedo.
Già dal bivacco avevo notato una trincea inerbita che saliva leggermente verso nord, ma mai mi sarei aspettato di
trovarmi di fronte un autentico e immenso campo trincerato, oggi perfettamente valorizzato da un grandissimo
lavoro di restauro.
In questa zona, trincee ormai distinguibili a fatica, sono state completamente ripristinate nella forma e nella struttura,
con infissi di legno, ponti, sacchi di sabbia e postazioni per mitragliatrici.
Camminarvi all’interno rende benissimo l’idea di cosa si doveva provare a combattere e difendere queste posizioni,
con la consapevolezza che ogni istante poteva essere l’ultimo.
In realtà questo è solo un tratto di tutte le numerose trincee e camminamenti di cui è cosparsa un’area ben più ampia
che oggi si dirama nei boschi, sotto i pini e la vegetazione.

La trincea didattica e le istruzioni del Comando
– Istruzioni tattiche –
“… gli incamminamenti, sottratti con giudizioso tracciato all’infilata, partono dal rovescio delle traverse e sono alti e stretti.
Nelle pareti degli incamminamenti sono, di tanto in tanto, ricavati dei nicchioni coperti…
I camminamenti defilati e coperti vengono apprestati fra i ripari per tiratori, ed i ricoveri retrostanti e sono necessari per far
avanzare i rinforzi, ripiegare le truppe, effettuare i rifornimenti e ritirare i feriti.
Siccome i ricoveri si prepareranno quasi sempre sul rovescio delle posizioni, così sarà possibile avere, in generale,
i camminamenti defilati alla vista e al tiro.
Ove risultassero esposti alle offese dell’avversario si faranno coperti, o da semplice parapetto o a pietrame disposto
dalla parte pericolosa e di altezza conveniente per proteggere un uomo che proceda carponi, oppure, disponendo di
abbondante legname, si potrà fare uso di blindamenti.
In generale, non è raccomandabile che le comunicazioni, o camminamenti a zig-zag, siano a brevi tratti.
Ai camminamenti sono da aggiungere, posti di scambio, brevi tratti di ricoveri per stabilirvi stazioni telefoniche,
posti di medicazione, …”.
“… la prima linea di difesa si suddivide in:
– Trincea di combattimento, con relativa parallela;
– Trincea dei sostegni, con retrostante parallela;
– Linea delle riserve, con organi di riconquista o di contrattacco sul dinnanzi e con trincee di comunicazione e
camminamenti sviluppantesi sul rovescio…
… Dalla trincea di combattimento si accede alla parallela di comunicazione, alla trincea dei sostegni, alla parallela di
questa ed alla linea delle riserve, mediante una fitta rete di incamminamenti a zig-zag con numerosi piccoli tratti di volta
ove sono celati i posti comando, gli osservatori, le cabine telefoniche, le installazioni dei proiettori, i posti di soccorso,
i depositi, le latrine, i pozzi per l’assorbimento delle acque piovane…”
Da: “Istruzioni tattiche del Capo di Stato Maggiore Italiano Comando 3^ Armata-Sezione informazioni-Norme per
l’istruzione delle truppe d’assalto”.
Dicembre 1916

La trincea didattica
Il tratto ripristinato di questo complesso sistema di trincee è un camminamento che collegava i baraccamenti di
retrovia con le prime linee, quindi un punto cruciale delle operazioni belliche.
In questi luoghi durante il conflitto si avvicendarono numerose Brigate in quanto spesso cambiavano posizione come
da ordini loro impartiti.
La 25° Divisione quindi schierava a fasi alterne la Brigata Sassari (151° e 152° Fanteria), la Brigata Piacenza
(111° e 112° Fanteria, di solito schierata più a valle lungo la pista Stalder), mentre la 13° Divisione impiegava la
Brigata Catania (145° e 146° Fanteria).
Il fronte austroungarico dirimpetto alle prime linee italiane comprendeva invece le sezioni 58 – 59 – 60 ed era
presidiato dal III° Reggimento Schützen.

trincee didattiche

lo snodo trincerato delle prime linee italiane

Come detto nel riquadro storico, nell’area non c’erano solo le trincee, ma tutta una serie di postazioni, osservatori,
ricoveri protetti e baraccamenti militari, in gran parte visitabili.
Scendendo per un tratto il sentiero n° 832B, (in alternativa possiamo lasciare la visita per il ritorno, dato che si passerà
da qui), si visitano i ruderi restaurati di un grande baraccamento militare e di quello, alle sue spalle, del Comando
del 151° Reggimento Brigata Sassari, mentre verso est, senza sentiero, si può seguire lo sviluppo di un’altra trincea
che portava alle postazioni di bombarda.
Non ultimo, accanto alla trincea didattica ripristinata, si trova il Cimitero della Brigata Sassari.

Il Cimitero della Brigata Sassari
In questo Cimitero dei Caduti di Guerra, riposano 218 soldati della Brigata Sassari (Reggimenti 151° e 152° Fanteria)
che giunti dalla lontana Sardegna, con atti di assoluto eroismo, sacrificarono la loro vita per la Patria.
Il Cimitero era sfuggito al censimento svolto nel primo dopoguerra, in quanto l’area era irriconoscibile, talmente fu
sconvolta dal bombardamento delle artiglierie italiane (per errori di tiro), e austroungariche che dalle postazioni fortificate
dello Zebio tiravano sulle trincee italiane.
Recentemente l’Area è stata recuperata dai Comuni della Sardegna di origine dei Caduti e donata dal Comune di
Asiago ai Comuni della Sardegna che hanno partecipato al progetto di recupero.

Cimitero Brigata Sassari

il Cimitero della Brigata Sassari

Nei pressi una lapide su roccia ricorda:
“Una Brigata leggendaria, unica ad essere insignita di 4 Medaglie Oro alle Bandiere dei suoi Reggimenti, combatté in
terra veneta con straordinario valore e tributo di sangue.
La ricordiamo commossi.
Casara- M. Zebio 1916-1917.
Sez. Fanti Altopiano 7 Comuni Comando Brigata Sassari 15 giugno 1997

Proseguendo verso nord-est, pochi passi oltre il Cimitero e dopo un piccolo scollinamento giungo ad un bivio.
Anche qui, impossibile sbagliare: dritti per il sentiero n° 832.
La strada forestale – militare aggira lo Zebio per risalirne le pendici verso nord.
Fuori ormai dal bosco, il panorama torna a manifestarsi con una bella vista sulla destra lungo la dorsale
erbosa delle Melette di Foza.
Sempre sulla destra alcuni cartelli in legno indicano il ridottino della 2° linea italiana, una trincea che si perde nel
bosco e che si può seguire per un buon tratto fino a una postazione e a dei ruderi di baraccamenti di cui rimangono
solo qualche muretto in pietra.
Di nuovo sulla strada, risalgo due ampi tornanti ancora in gran parte selciati, per superare gli ultimi metri di
dislivello che mi separano dalla sommità del Monte Zebio.
Giunto all’ultimo bivio (per ora), mi tengo sulla sinistra, prendendo la direzione della Crocetta di Zebio fortificata dalle
truppe austroungariche.
In realtà, prima di arrivarci, c’è ancora un po’ da camminare e molto da vedere.
Dopo un’ulteriore curva e un’ultima rampa un po’ inerbita, arrivo alle prime roccette della cima, oggi un vasto pianoro
erboso – sassoso e Zona Sacra per gli eventi bellici occorsi.
Un cartello mi segnala di essere giunto alla Lunetta di Zebio, uno dei luoghi simbolo degli scontri qui avvenuti.
In questo punto, oltre a rocce enormi saltate in aria per lo scoppio della Mina di Scalambron, è presente un complesso
sistema trincerato con postazioni per mitragliatrici, ricoveri e gallerie di mina per la maggior parte visitabili (alcuni
ingressi sono un po’ invasi dalla vegetazione).

La Lunetta di Zebio
In tutte le direzioni si diramano trincee con ricoveri in caverna e postazioni di mitragliatrici, a formare un vero e
proprio museo all’aperto.
Ancora integre, in queste postazioni difensive austroungariche sono perfettamente conservate le nicchie per le
munizioni dei fucili e le feritoie dalle quali tiravano le mitragliatrici.
Tutto il terreno circostante ha un aspetto lunare in quanto è stato sconvolto dalle artiglierie e dall’esplosione della mina
italiana che ha falciato la Brigata Catania.
Proprio in corrispondenza della Lunetta di Zebio vi è una chiara testimonianza degli importanti lavori sotterranei di
mina e contromina eseguiti dai due schieramenti.
Su di una roccia saltata in aria, è stata posta una croce e una targa riportante la data dell’8 giugno 1917, giorno in cui,
si presume un fulmine, fece scoppiare la mina italiana (posizionata già dall’autunno 1916) che a sua volta innescò
l’adiacente mina austriaca.
L’esplosione della Mina dello Scalambron, avvenuta con due giorni di anticipo rispetto ai tempi stabiliti, fu talmente
potente da uccidere 40 ufficiali e 120 soldati della Brigata Catania.

mina dello Scalambron

la targa in ricordo della Brigata Catania

“ … Era l’8 giugno.
Nel pomeriggio si scatenò un violento temporale: guizzavano i lampi e tra lo scrosciare della pioggia il rombo dei tuoni
superava quello dei cannoni e delle mitragliatrici.
Improvvisamente si avvertì un tremito e un ondeggiare del terreno: con uno schianto spaventoso volarono in aria
massi rocciosi, pietre, terriccio, alberi, uomini e materiali bellici.
Era saltata la posizione della nostra Sezione 61 rimanendone sconvolta la Lunetta dello Zebio…
Il cratere si aperse per una larghezza di 35 m. e subito dopo, pur non essendo riusciti a comunicare fra loro, il
comandante del vicino plotone situato a ovest, alfiere Oskar Wurst, e il comandante del plotone mitragliatrici dislocato
a est, sottoufficiale Baumgartner, si affrettarono con particolare zelo ad occupare il cratere con alcuni uomini raccolti
nei pressi…
Lo scoppio procurò anche all’avversario gravi perdite fra le quali un maggiore, un capitano e un sottotenente ai quali
aggiungere 100 dispersi e oltre 10 feriti.
L’esplosione prematura dovrebbe attribuirsi ad una fortuita accensione prodottasi a causa di un fulmine…
La giornata del 9 giugno trascorse relativamente tranquilla; soltanto alcuni colpi di artiglieria caddero dietro
la Sezione 61, e se ne approfittò per seppellire i caduti amici e nemici.
Fu commovente vedere il cappellano Steiner benedire gli italiani morti stando in piedi sul bordo del cratere mentre gli
uomini della pattuglia di sanità italiana, che avevano attivamente collaborato alle ricerche e alla raccolta dei cadaveri,
congiungevano le mani unendosi alle preghiere pronunciate in tedesco”
.
Dalla relazione del Colonnello Herman Strohschneider “Il 3° Reggimento Schützen a Monte Zebio” 
8 – 29 giugno 1917
“Nella sezione 61 a Monte Zebio (corrispondente alla Lunetta degli italiani) già durante l’inverno era stato possibile
rilevare lavori di mina da parte degli italiani.
Si procedette perciò a lavori di contromina nell’intento di preservare, almeno in parte, la nostra posizione…
Nel pomeriggio dell’8 giugno si scatenò un violento temporale: improvvisamente verso le 16.45, con uno spaventoso
boato saltò in aria la nostra posizione principale della Sezione 61.
Al suo posto si aprì nella roccia un ampio cratere del diametro di 35 m. e una profondità di 9 e mezzo; la carica,
secondo i calcoli, doveva essere stata di circa 3.500 kg. di gelatina esplosiva.
Non v’era dubbio sul fatto che una camera di scoppio preparata dal nemico era esplosa per caso, improvvisamente,
perciò alla deflagrazione non fece seguito nessun attacco da parte delle fanterie e l’occasione favorevole non venne
sfruttata dagli italiani.” “…
vennero catturati nei pressi del cratere cinque genieri italiani,… .
Essi riferirono che la mina avrebbe dovuto brillare soltanto alcuni giorni dopo, (esattamente alle ore 15 del giorno 10 giugno),
ma che era esplosa in anticipo a causa di un fulmine abbattutosi sulle condutture elettriche…”
Dalla relazione del capitano Rudolf Weiss Comandante della compagnia zappatori 1/9 “Battaglia per un cratere di mina”.
Lo scoppio della mina.
Qualche metro più in alto si trova anche il monumento in ricordo della Brigata Catania.

monumento in ricordo della Brigata Catania

il monumento in ricordo della Brigata Catania

In mezzo a quest’area dove sono presenti anche vaste zone erbose, un nutrito gruppo di mucche è intento a brucare
e a riposarsi al sole.
Il silenzio e la natura si sono riappropriati di questi spazi, malghe e alpeggi continuano ad essere caricati con mandrie che
daranno del latte e formaggi.
I turisti accorrono dopo lunghe e benefiche passeggiate a piedi o in bici ad assaporare questi ottimi prodotti locali,
frequentando la montagna a volte in modo sbagliato, vuoi per dire di “esserci stati” o per postare una foto o un video in
rete e sui social.
Ma io scommetto che in posti oggi sì così belli, molti non sono nemmeno a conoscenza dei fatti che qui come in tutti
gli Altipiani (e non solo) si sono svolti.
Più di cent’anni fa su questi terreni venivano costretti a combattere ragazzi come noi, e a vedere coi loro occhi un
inferno che oggi non riusciremmo ad immaginare.
E purtroppo da urla strazianti, boati assordanti, fucilazioni e condizioni umane al limite della sopportazione, i soldati non
avevano vie d’uscita, se non attimi di speranza e di fede che tutto finisse presto.
Il piatto pianoro sommitale dello Zebio è fronteggiato verso est da una piccola duna di terra, erba e roccia,
la Crocetta di Zebio, una montagna che oggi ai nostri occhi passerebbe del tutto inosservata.
Gli austroungarici invece l’avevano scelta come caposaldo difensivo, non a torto data la sua posizione e la
sua inespugnabilità.
Per rendersi conto dei motivi basta osservarla dallo Zebio.
In mezzo, nella fossetta che la natura ha formato, sorge la Malga Zebio.
Quest’area fortificata si può visitare; per farlo prendo direttamente una traccia che scende il pendio che parte poco più
avanti della cima, oltre la Pozza Storta, un abbeveratoio per il bestiame.
Sul pendio erboso antistante Malga Zebio sorgevano i baraccamenti austriaci, se ne può vedere ancora il basamento.
Più in alto invece, restaurate nella roccia, tutto il sistema fortificato.
Interessantissima la grande caverna alle spalle dell’arrivo della teleferica Seilbahn adibita a ricovero e deposito:
all’interno ci sono ancora tutte le travi di sostegno in legno di porte e pareti, oltre a una galleria ora preclusa che si
addentra nel sottosuolo.

La Crocetta di Zebio
Un’altura apparentemente insignificante è diventata, dopo l’abile lavoro di ingegno austriaco, un baluardo difensivo
inespugnabile lungo il quale si sono costruiti ricoveri, depositi, caverne per cannoniere, teleferiche, trincee campali,
rafforzate e di collegamento, oltre a una serie di sentieri che comunicavano con le retrovie.
Questo era il tratto centrale della prima linea difensiva austroungarica che partendo dall’Ortigara, scendendo,
passava per il Monte Colombara, il Monte Interrotto e arrivava in Val d’Assa.
La linea venne creata dal luglio 1916 al dicembre 1917, dopo il ripiegamento in seguito al fallimento della Strafexpedition.
“…  seguiva poi la cima di Monte Zebio che poteva considerarsi una fortezza naturale.
Infatti era costituita da una specie di gigantesco bastione fasciato pure esso di reticolati, innalzatesi a tratti a picco,
a tratti a gradini susseguenti ed alti parecchi metri… …
Questa muraglia solidissima e massiccia era rotta qua e là da fenditure profonde, ripidissime, tortuose, impraticabili,
lungo le quali erano stati assicurati dei robusti cavalli di frisia, immobili e irraggiungibili guardie, dietro le quali stavano,
nelle trincee scavate nel macigno, le guardie vive pronte alle difesa che veniva fatta con i fucili, le mitragliatrici e
le bombe, ed anche col fare rotolare dei grandi sassi che andavano a schiacciare i piccoli fanti nei loro sforzi tendenti a
superare insormontabili difficoltà e a raggiungere una meta troppo superiore alle forze umane.
Le nostre posizioni si svolgevano sotto questo bastione e a pochi metri da esso, ed erano completamente dominate dal
nemico il quale, specie nei primissimi giorni (26/27 giugno 1916), quando non era stata ancora cominciata la costruzione
delle trincee, rendeva impossibile ogni movimento…”
.
Da “Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari” di L. Motzo-Cagliari 1930-pag.100/101
“Il caposaldo fondamentale di Monte Zebio di q. 1706 (Crocetta di Zebio),… era molto ben sistemato,
ampiamente dotato di caverne e nei tratti più minacciati difeso da gallerie di mina.
Nella conca retrostante alla posizione arrivava una teleferica che provvedeva al trasporto di vettovaglie, munizioni e
materiale tecnico; presso la stazione terminale erano sistemati dei piccoli depositi …”
.
Da “Ortigara 1917. Dalla parte degli austriaci” di G. Pieropan-Milano 1983-p. 109

dal Monte Zebio alla crocetta di Zebio

la Malga Zebio e la Crocetta di Zebio visti dal Monte Zebio

Fissate alla roccia est ed ovest della Crocetta, sono state poste due lapidi.
La prima è quella del Tenente Cappellano Don Giovanni Minzoni che nel 255° Reggimento Fanteria Brigata Veneto
combatté sull’Altopiano di Asiago e sul Fronte del Piave nel 1918, dove ricevette anche la Medaglia d’Argento al
Valor Militare con la seguente motivazione:
“Instancabile nella sua missione pietosa di confortar feriti, di aiutare i morenti durante il combattimento, impugnato
il fucile e messosi alla testa di una pattuglia di arditi si slanciava all’assalto contro un nucleo nemico, faceva numerosi
prigionieri e liberava due nostri militari di altro corpo precedentemente catturati”.

Piave, giugno 1918
La seconda è quella del Sottotenente del 159° Reggimento Fanteria Brigata Milano Dario Bezzan, anch’egli coinvolto
negli scontri sullo Zebio e insignito con la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
“Comandante di una Compagnia, rimasto con pochi uomini e privo di munizioni, contrattaccava alla baionetta e
ricacciava il nemico dalle trincee, che questo era riuscito in parte a rioccupare, mantenendole sino all’arrivo dei rinforzi”
.
Casara Zebio, 6 luglio 1916.

Queste erano le atrocità della guerra, e noi oggi dobbiamo solo sperare che questi errori non vengano più commessi
e che tutte le montagne non si tingano più di rosso.
Ecco perché è importante raccontarne la storia oltre all’escursione, narrandone a volte anche i più piccoli dettagli.
Perché solo studiandola e capendo nel profondo cosa volesse dire affrontare per un uomo orrori simili, potremo
evitare gli sbagli del passato.
Ma questo, se mai avverrà, sarà solo quando tutti l’avranno fatto e avranno anteposto la pace e il benessere
del prossimo all’egoismo e agli interessi personali.

Seduto su una roccia nei pressi della cima spingo lo sguardo lontano sulle Melette e verso nord, dove su una
montagna compresa nella cresta a chiusura dell’Altopiano di Asiago, hanno perso la vita migliaia di uomini.
Il monte in questione è l’Ortigara (che sarà meta di una prossima escursione), le cui vicende belliche sono strettamente
legate a quelle dello Zebio.
Gli alberi che chiudono i versanti dello Zebio limitano un po’ la visuale, maggiormente aperta verso sud e verso Asiago.
Sceso nuovamente a Malga Zebio, mi avvio per il ritorno, prendendo a sinistra ancora lungo il Sentiero della Pace.
Dopo una curva incontro un bivio dov’è segnalata una piccola deviazione per il Bivacco dell’Angelo, che
raggiungo senza faticare.
La struttura è adagiata sopra un bel terrazzino erboso e curiosamente cinta da uno steccato per il bestiame.
In caso di tempo avverso o emergenza è un buon ricovero.
Fortunatamente delle due porte, una si apre e si entra in una specie di un salottino, dove ci sono un tavolo di legno,
una panca, un camino e della legna.
Forse l’altra stanza contiene anche qualche brandina ma essendo chiusa non è dato sapere.
In effetti costruire bivacchi e tenerli chiusi (o parzialmente chiusi) è una pratica che non ho mai capito.
Non ovunque è così ma in molti luoghi sì.
Di ritorno sul Sentiero della Pace inizio la mia discesa ripassando per il bivio sotto la Lunetta di Zebio ed arrivando
nuovamente a quello poco sopra il Cimitero della Brigata Sassari.
Qui, anziché tornare nuovamente per il Bivacco Stalder e il Monte Mosciagh, scendo lungo il sentiero 832B, superando il
suddetto cimitero e i ricoveri del comando italiano.
Dopo un tratto un po’ ripido nel bosco, esco in una piccola radura dove un’ampia porzione di terreno è delimitata da un
muretto in pietra, i resti di un ex cimitero militare.
I pannelli in legno non riportano indicazioni e presumo che le salme siano state trasferite nel Sacrario di Asiago.
Da qui in poi inizierà un’altra full immersion nel bosco, in totale isolamento.
Ricominciano le piste per mountain-bike e scompare di nuovo la segnaletica per escursionisti.
Passeggiando in un bosco dove tutto è enorme, dalle conifere ai funghi che spuntano ai loro piedi, lentamente mi porto
verso valle.
Ignoro le due deviazioni sulla destra lungo sentieri disagevoli, e continuo dritto fino ad un bivio.
Svolto a destra seguendo la pista trasversale che si porta sotto il Porchette (indicazioni per Monte Interrotto) ed
affronto un lunghissimo saliscendi dove non incontro nessuno.
A dire la verità a parte qualche persona a Malga Zebio e sulla cima sono sempre stato da solo.
Probabilmente questi boschi così selvaggi e un po’ cupi, incutono un po’ di timore nelle persone, almeno per
camminate così lunghe.
D’improvviso, eccomi in uno spiazzetto dove gli alberi lasciano il posto ad un altro bivio.
Nuovo giro, nuova corsa: sempre dritto seguo la traccia per la pista Stalder la quale mi fa passare a sud del Porchette
fino a giungere… avete indovinato?
Esatto, in un nuovo bivio!
Questa deviazione (Wassar Gruba, Interrotto), mi porta ad abbassarmi decisamente a sud camminando alla base del
versante est del Mosciagh.
Questo è forse il tratto più lungo e selvaggio e, dopo ormai molti chilometri nelle gambe, anche il più faticoso dato che
occorre rimontare un po’ di metri di dislivello prima di arrivare in prossimità di Forte Interrotto.
C’è ancora un bivio in cui porre un minimo di attenzione, è quello di Dohrbellele.
Ma anche qui bisogna impegnarsi per sbagliare, dato che è sempre riportata l’indicazione per il Forte Interrotto.
Ora in piano, finalmente riposano un po’ le gambe.
Fuori dal bosco ecco l’ultima deviazione, ossia la prima che all’andata avevo ignorato.
Pochi metri, verso sinistra, mi riportano al Forte dove, di nuovo fuori dal bosco mi concedo un po’ di riposo seduto sulla
panchina lì nei pressi.
Qualche famiglia sale a vedere questa fortificazione, alcuni a piedi, altri in auto; tutti si fermeranno qui.
Rimangono stupiti, come lo sono stato io stamani, a vedere questa specie di castello elevarsi nel nulla in mezzo ad un
bosco e con piacere osservo mentre si recano a leggere il pannello informativo sulla sua storia.
Mi chiedo però se sappiano cosa ci sia più avanti, lungo una strada forestale, (una come tante), che si inoltra nel
bosco e apparentemente di nessuna importanza, (oggi è un tratto dell’importante e più lungo Sentiero della Pace).
Magari un domani leggeranno il racconto di questo viaggio della memoria e, spinti dalla curiosità e dalla voglia di
conoscenza, affronteranno un po’ di fatica in più.
O magari lo faranno i loro figli che, come me, vorranno mantenere vivo il ricordo di quanto successo a Monte Zebio.
Per il momento non resta che scendere verso Camporovere, estremamente soddisfatto da un’escursione di questa
portata, ma con mille pensieri rivolti a quei poveri ragazzi ai quali la vita non ha riservato un futuro.
“I sentieri che un tempo dividevano il fronte oggi devono unirci”. W. Schaumann, 1972.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Si ringrazia per la collaborazione fotografica: Davide Allegri (Facebook –  Youtube)


Note:
forse l’escursione di più grande valenza storica che si possa compiere nell’Altopiano di Asiago.
L’anello qui proposto, che è possibile spezzare in due giorni, tocca numerosi luoghi simbolo della guerra come i cimiteri
(dove sono ancora sepolti i caduti italiani e austroungarici), il Forte Interrotto e il Monte Zebio, presso la cui cima
avvennero cruenti scontri.
L’intero percorso è molto lungo ma facile.
Tuttavia i più di mille metri di dislivello, richiedono un discreto allenamento e i numerosissimi incroci potrebbero
creare qualche difficoltà di orientamento per i meno esperti.