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Anello del Confinale
Rifugio Forni 2.178 m. – Rifugio Pizzini 2.706 m.
– Rifugio V° Alpini 2.877 m. – Rifugio Campo 2.000 m.

(Italia – Alta Valtellina)
uno dei percorsi ad anello più famosi dell’Alta Valtellina, un classico: l’intero anello è lunghissimo e …….

anello del confinale valtellina

clicca sulle immagini per visualizzare ingrandito il percorso di salita e di discesa


Località di partenza:
parcheggio presso il Rifugio Ghiacciaio dei Forni (S. Caterina Valfurva)
Quota di partenza: 2.150 m.
Quota di arrivo: 3.005 m. max. (Passo Zebrù nord)
Dislivello: 1.255 m. (dislivello positivo)
Posizione: il Rifugio Forni si trova in località Forni a monte di S. Caterina, il Rifugio Pizzini sorge alla testata
della Valle Cedèc sotto il Gran Zebrù e il Cevedale, il Rifugio V° Alpini è ubicato su uno sperone roccioso tra le
vette Ortles-Cevedale mentre il Rifugio Campo si trova fra i prati della val Zebrù
Difficoltà: E/EE [scala dei livelli]
Ore: 12h anello completo
Tappe: dal rifugio Forni al rifugio Pizzini-Frattola 1h 30’
Dal Rifugio Pizzini-Frattola al Rifugio V° Alpini 3h
Dal Rifugio V° Alpini al Rifugio Campo 2h 
Dal Rifugio Campo al Rifugio Forni 5h 30’ (2h fino a Niblogo) 
Periodo: da metà giugno a metà settembre, in assenza di neve
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: percorrendo l’anello completo si parte e si arriva al Rifugio Forni
(o a Niblogo se si è scelto il percorso inverso)
E’ possibile dividere il percorso in tappe da due a tre giorni così come salire e scendere in giornata dai rifugi
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

Chi pratica escursionismo in alta Valtellina e specialmente nella zona di Bormio-S. Caterina, ha sicuramente
sentito parlare o addirittura percorso questo magnifico giro ad anello che si sviluppa tutt’intorno al Monte Confinale.
Una cima situata più o meno al centro di un comprensorio formato a sud dalla Valfurva, a nord dalla Val Zebrù
e ad est dalla Valle dei Forni e dalla Val Cedec.
Questo percorso è diventato famosissimo proprio per la bellezza dei luoghi toccati e per gli incredibili panorami
sulle maestose cime innevate.
Si tocca con mano e si respira l’alta montagna.
Io ho percorso questi sentieri nei primi giorni di settembre e ora vi racconto una giornata incredibile. 
Premessa: normalmente questo anello viene spezzato in due o tre giorni, con tappe che vanno mediamente
dalle 4-5 alle 6-7 ore di marcia, a seconda della formula scelta.
Molte guide organizzano e accompagnano su questi sentieri prevedendo pernottamenti nei vari rifugi.
Ovviamente nulla vieta di salire e scendere in giorni diversi in queste strutture, frazionando le tappe.
I rifugi infatti sono punti di partenza strategici per le ascensioni alle cime circostanti e da un semplice trekking
si può sconfinare in qualcosa di più.
Detto questo, solo a un pazzo verrebbe in mente di percorrere l’anello in giornata con undici ore di marcia circa,
tra l’altro con una variante più lunga e scomoda nella parte finale.
Eccomi, il pazzo sono io; e devo dire che non avevo programmato nulla alla mattina, inizialmente avevo
intenzione di arrivare solo ai Rifugi Pizzini e V° Alpini.
Una gita (in apparenza) tranquilla insomma…

Parto alla mattina presto dal paesino di Cepina con un cielo di un blu intenso e un bel sole che inizia ad
illuminare le prime cime.
La giornata si preannuncia fantastica e senza rogne a livello meteo.
Con l’auto mi reco a Bormio e alla rotatoria del centro del paese, prendo la deviazione sulla destra che mi
porta verso S. Caterina Valfurva.
Lungo la statale, poco prima di arrivare a destinazione, passo sotto il versante sud del Confinale che da diversi
anni scarica tutto quello che ha proprio in questa valle.
La strada spesso è stata bloccata per giorni o settimane nel passato più recente, ma oggi trovo una novità.
Un bel semaforo in prossimità dell’enorme frana (contenuta da muretti a secco), dove il verde mi indica il via libera.
Un’ottima soluzione a questo annoso problema.
Quando c’è rosso ci si ferma, (il tempo varia in base alla gravità del pericolo) per possibili crolli sulla strada,
in caso di verde tutto tranquillo.
E’ così nei due sensi di marcia.
Arrivo a S. Caterina e svolto subito a sinistra imboccando la strada che va verso i Forni.
Superate le prime case e malghe, arrivo alla classica barriera (indicata ovunque da cartelli a bordo strada
con scritte a caratteri cubitali) dove occorre pagare il pedaggio.
Anche qui, come vuole la tradizione, la macchinetta è nel nulla e lontanissima dalle prime abitazioni.
In realtà sapevo già del pagamento, e questa volta mi sono attrezzato per tempo con un po’ di moneta.
Proseguo su una stradina asfaltata non sempre perfetta, con pendenza molto sostenuta tanto da salire
spesso in seconda marcia.
Faccio attenzione in quanto la carreggiata è stretta e in molti punti passa solo un’auto.
Dopo un ultimo tratto in salita, passo al centro di due enormi massi e scendo per il breve tratto sterrato che
mi conduce all’ampio parcheggio dei Forni, per fortuna non a pagamento.
Non conviene salire ancora con l’auto e “puntare” al parcheggio superiore, in quanto è riservato
all’hotel-rifugio Forni che si trova proprio a pochi metri.
Dal parcheggio ho già una vista magnifica sulle vedrette dei Forni in fondo alla valle ed essendo arrivato
molto presto non c’è ancora gente.
Mi incammino a piedi e lascio sulla destra il sentiero che porta verso il Rifugio Branca.
Salgo su per una rampa dal parcheggio, sbucando di fronte al Rifugio Forni, sull’ampia mulattiera che
porta anche al Rifugio Pizzini.
Non si può sbagliare e questa zona a 2.212 metri, chiamata Baite dei Forni, è piena di cartelli segnaletici ovunque!
Lascio a sinistra la normale salita al Confinale e proseguo sulla destra.
Dopo pochi passi non so nemmeno descrivere lo spettacolo.
Che dire di questo stupendo ghiacciaio dei Forni con queste cime così uniche e famose?
Purtroppo anch’esso è in forte ritiro ma la sua bellezza rimane unica.
Non avendo parole lascio parlare le foto.
Questo, come tutto il percorso, è il paradiso, è alta montagna.
Raccolta la mascella da terra, continuo fino ad arrivare ad una svolta ed entro in Val Cedec.
Da qui vedo già il Rifugio Pizzini ma di strada ce n’è ancora un po’.

Per fortuna su questo sentiero che normalmente è molto frequentato, oggi non c’è ancora nessuno, almeno a piedi.
Già perché purtroppo passato un certo orario, le jeep-navetta iniziano a fare la spola fino al rifugio con orde
di (presunti) escursionisti a bordo con famiglie, parenti, cani e bambini al seguito.
Oltre all’inquinamento (ma perché questi mezzi non sono almeno elettrici?) e al rumore, al loro passaggio
sono costretto a defilarmi a bordo strada ingoiando un buon quantitativo di polvere.
Si sa che se l’uomo non inquina e distrugge, non è contento e si annoia, per cui via libera
alle gite commerciali, altro che Everest!
Posso capire le situazioni di emergenza per le quali una navetta per il soccorso risulta fondamentale, ma farsi
portare apposta al rifugio, per poi fare solo la discesa, è solo sfruttamento della montagna che così viene
ridotta a un parco giochi.
E dire che posti come questi non si incontrano ogni giorno.
Una valle magnifica chiusa dalla mole del Gran Zebrù, con a destra il gruppo del Cevedale e il più
piccolo Monte Pasquale.
Supero la baita isolata in Val Cedec e un gruppo di mucche sulla poderale, e attraverso un ponticello di legno che
precede il mio arrivo al Rifugio Pizzini.
Stranamente, pur non avendo incontrato nessuno in salita, il rifugio è imballato già di mattina presto.
Chissà come sia possibile…
In ogni caso quando entro al rifugio per aggiungere alla mia collezione un timbro sul passaporto,
trovo una bella sorpresa.
Un bambino di circa sette anni mi precede coi genitori, intento anche lui a mettere il suo terzo timbro, mentre la
mamma gli spiega l’importanza di girare le montagne per rifugi.
Ottima cosa davvero.
Trovo che al bambino andrebbe insegnato a frequentare questi ambienti in modo consapevole e a piedi,
acquisendo conoscenze dall’ambiente che lo circonda e imparando a rispettarlo.
Tanto più che in due orette dai Forni si raggiunge comodamente questo rifugio con percorso molto facile.

Dal rifugio pongo lo sguardo verso nord-ovest e vedo già il prossimo obiettivo: il Passo di Zebrù nord, che mi
porterà a svalicare in Val Zebrù verso il rifugio successivo.
Accanto al passo, il Gran Zebrù, innevato dopo una recente nevicata, appare immenso in tutta la sua maestosità.
Prendo la fotocamera e tramite lo zoom riesco ad inquadrare anche la sua croce di vetta.
Semplicemente favoloso.
Dal rifugio scendo leggermente al ponticello sottostante, lo attraverso e seguo le indicazioni per il Passo Zebrù nord,
imboccando la bella traccia che sale su prati.
Dopo qualche metro mi volto e vedo un altro spettacolo che ha dell’incredibile, proprio alle spalle del Rifugio Pizzini
che inizia a rimpicciolire man mano che avanzo.
Il Cevedale e il Monte Pasquale fanno da sfondo ad una cartolina coi loro ghiacciai meravigliosi.
Si vedono chiaramente le due lingue di ghiaccio che scendono in Val Cedec, la Vedretta del Pasquale e quella di Cedec.
Più a sinistra in alto, appare anche il Rifugio Casati-Guasti, guardiano di queste vette e raggiungibile
con percorso non difficile.
Proseguo e arrivo ad un piccolo sperone roccioso che aggiro.
Tornanti e forte pendenza per i prati fanno parte del percorso.
Dopo un ultimo tratto a mezza costa su facili sfasciumi, arrivo al Passo Zebrù nord, dove le parole non bastano
per raccontare l’immenso panorama e il senso di libertà che si prova a questa quota (3.005 metri).
Dalla parte della Val Cedec si staglia verso sud tutto il massiccio e il ghiacciaio dei Forni, mentre a est si riesce
a vedere quasi interamente il gruppo del Cevedale.
Verso la Val Zebrù, un po’ nascosti, appaiono le cime anch’esse imbiancate del gruppo Ortles.
Da qui si riesce a vedere il Monte Zebrù e la Punta Thurwieser.

Sotto ai miei piedi osservo anche tutta la via di discesa, col sentiero che prosegue più avanti molto esposto e
a mezza costa sul fianco in destra orografica di questi monti.
La parte alta di questa valle è molto più accidentata e impervia rispetto alla Val Cedec e proprio qui inizia la parte più
tecnica in cui bisogna fare maggior attenzione.
Dal Passo inizio a scendere su terreno ripido e in parte innevato per roccette e sfasciumi, attento a non slittare.
Supero un primo nevaio arrivando ad un altro breve tratto ripido e poi su un altro nevaio ancora.
Raggiungo una palina e proseguo a sinistra su facile sentiero, fino ad arrivare a un salto roccioso che
affronto tenendomi alle catene.
In realtà non ho trovato assolutamente difficile questo punto.
Si scivola un po’ su ghiaietto, ma oltre alla catena c’è anche la roccia per tenersi eventualmente con le mani.
 Incontro solo una persona che mi assicura essere questo il punto più difficile, ma io non ci credo avendo visto lo
sviluppo del sentiero dall’alto.
Questi parametri sono soggettivi, ma più delicati sono a mio avviso alcuni punti che incontrerò più avanti (ma ci arriverò). Terminata la discesa, continuo praticamente in piano su un bel sentiero che taglia letteralmente
il fianco di queste montagne.
Dall’alto questa valle è magnifica e si possono ammirare le varie sfumature di colori della natura che
caratterizza questi ambienti.
In alto le prime cime innevate dei monti dell’Ortles, poi più sotto la roccia stratificata
e immensi ghiaioni.
A metà versante una linea netta di demarcazione segna il limite della vegetazione, più chiara all’inizio con
prati e pascoli e poi più scura a fondovalle.
Un vero incanto.
Intanto che ammiro questi scenari continuo ad avanzare sul sentiero fino a raggiungere l’inizio di un
esteso ghiaione sottostante la Cima della Miniera.
Nel mezzo di questo mi compare alla mia destra una bella cascata che scende direttamente dal ghiacciaio
soprastante, la Vedretta della Miniera.
Sul versante opposto della valle appaiono anche le Cime dei Forni.
Il sole è ora alto in cielo e fa molto caldo.
Supero un piccolo ruscello al centro del ghiaione passando su un esile ponte formato da due
assi di legno, ed arrivo ad un bivio.
Tralascio sulla sinistra la deviazione che scende direttamente in Val Zebrù verso le Baite del Pastore
e proseguo dritto.
Il sentiero da qui in poi si stringe e va progressivamente sempre in maggiore esposizione.
Poco più avanti vedo in basso un bel gregge di pecore che mi osserva al sicuro, chiedendosi probabilmente
cosa ci faccio in un punto così impervio.

Dopo un ultimo tratto comodo e in piano, arrivo ad attraversare un canalone.
In genere questi canaloni sono solcati da un ruscello nel centro che col tempo erode la roccia rendendola
soggetta a piccole frane.
Sono anche punti abbastanza scivolosi.
Tutto questo trova conferma appena mi avvicino al ruscello dove il sentiero semplicemente non esiste più.
Non guardo in basso perchè c’è un salto di 400 metri (con le pecore che guardano all’insù col fiato sospeso
per questo mio passaggio), e con estrema attenzione appoggio le mani sulla roccia, scegliendo il
miglior appoggio per i piedi.
Mi bagno un pochino le gambe e con molta calma torno al sicuro sulla traccia.
Anche questa è fatta e lo capisco dal fatto che le pecore sottostanti sono tornate a pascolare….
Procedo sempre in direzione del rifugio V° Alpini affrontando un altro ghiaione molto più esposto del precedente
che in alcuni punti mi fa usare un po’ le mani.
Nulla di difficile qui, ma consiglio sempre la massima attenzione in quanto il sentiero è molto stretto e l’esposizione forte.
Torno su erba e roccette fino a rimontare un piccolo panettone erboso, dal quale vedo in lontananza il
caratteristico tetto giallo del rifugio.
Da quello che trovo per terra su questa erba, capisco che qui le capre hanno eletto il luogo a punto strategico
per raduni importanti.
Saltellando tra un ciuffo e l’altro aggiro l’ultimo costone roccioso ed entro nel vallone che porta al rifugio.
L’ultima parte di cammino e l’ultimo sforzo.
Mi tengo contro la roccia per un breve tratto ancora un po’ esposto ma facile, e arrivo a mettere il piede
sull’ultimo immenso ghiaione che mi accompagnerà fino al rifugio.
Questo tratto è un po’ più agevole rispetto ai precedenti.
Arrivo ad un bivio ricongiungendomi con la traccia che sale dalla Val Zebrù.
Punto a destra e dopo le ultime rampe (faticose dopo la strada già messa nelle gambe), arrivo ai primi tavoli
di legno antistanti al rifugio V° Alpini.
Questo rifugio è un nido d’aquila estremamente isolato, situato in un ambiente lunare e deserto a 2.878 metri.
Alle sue spalle inizia il percorso che sale i ghiacciai e alcune famose cime del gruppo Ortles come
il Monte Zebrù e la Thurwieser per citare le più vicine, senza dimenticare importanti punti d’appoggio
come il bivacco Città di Cantù.

Approfitto della piccola sosta che mi concedo sul terrazzino del rifugio per mangiare qualcosa, e ammirare
dall’alto la Val Zebrù e i monti che la chiudono a sud, dove oltre alle Cime dei Forni da qui vedo ora anche il Confinale.
Prima di scendere entro nella struttura per apporre il classico timbro sul passaporto e sulla porta
mi colpisce molto questa frase:
“Quando tornerai in città…porta con te il rumore del vento, il silenzio dell’alba, i colori caldi del tramonto
ed il cielo stellato.
Non dimenticare la fatica della salita, i sorrisi dati e ricevuti e le montagne che circondano
questo piccolo rifugio dal tetto giallo”
.
Sicuramente da un luogo così si può solo avere un ricordo bellissimo e indelebile.
Nel primo pomeriggio inizio la discesa, so che la strada da fare è ancora molta e il tempo stringe.
In questo momento do la svolta al mio giro.
L’idea iniziale era quella di ritornare sui miei passi fino ai Forni.
Dal momento che sarei stato molto rallentato nei punti più ostici del percorso, decido di scendere in Val Zebrù
fino alla frazione di Niblogo.
Chiedo ai gestori se in caso di eventuale ritardo sul percorso, qualche navetta
sia ancora disponibile per la spola estiva almeno per il primo tratto della valle.
Mi danno conferma del servizio.
Come detto prima odio le navette, ma capisco però che di tempo per scendere ce ne vuole ancora parecchio
e io devo avvisare a casa in zone dove il telefono non prende, anche se ho il satellitare.
Per ora non ci penso, e procedo in discesa per il ghiaione sottostante il rifugio.
Arrivo al bivio incontrato la mattina e proseguo verso valle stando sulla traccia di ghiaia.
Non avanzo velocemente in quanto la pendenza è molta e si scivola.
Arrivo ai primi pascoli dove il sentiero si allarga e la tenuta è maggiore.
Incrocio gruppi di persone che salgono, le prime dopo un solo incontro in discesa dal Passo Zebrù della mattina.
Imbocco una larga e comoda strada che conduce dopo qualche tornante sul bel terrazzino, dove sorgono
le Baite del Pastore.
Un alpeggio molto carino dove resto colpito da una mucca che sta brucando l’erba accanto ad una panchina
dove poco prima c’erano sedute due persone.
Non è isolata, le sue amiche in compagnia di alcune caprette girano nei dintorni indisturbate.
Sono però tornato alla civiltà e lo capisco subito dall’alta affluenza di gente.
Poco oltre, infatti, li vedo tutti là, in uno spazio con funzione di area picnic delimitato da un recinto di legno
intenti a pranzare e prendere il sole.

Quando passo sulla poderale chiedo a due signore a bordo strada se loro e tutto il gruppo fossero salite a piedi o
trasportate dalla navetta.
In quel momento penso che sapere di poter contare su un punto d’appoggio nel caso si facesse molto tardi
mi darebbe più tranquillità, più che altro per non dar troppo da pensare a casa.
Bene, le signore mi dicono che tutti sono saliti a piedi e di navette non ne hanno viste.
Strano penso, al rifugio erano sicuri vi fossero.
Prima di proseguire la discesa mi chiedono che giro avessi fatto.
Spiego loro il tutto il tragitto e con l’indice indico il Passo Zebrù nord da dove sono sceso e la puntata al V° Alpini,
assieme alla strada che mi manca da percorrere.
Al che una delle due signore mi si avvicina in silenzio, mi mette la mano sulla fronte e
dice: “Sono sicura che lei ha la febbre!”.
Sorrido e congedandomi scendo in picchiata lungo i tornanti di questa strada che ora entra nella
bassa Val Zebrù in mezzo a larici ed abeti.
Passo accanto a un gruppo di cavalli e yak liberi al pascolo e dopo tanta roccia torno ad assaporare il
profumo del bosco e a sentire il rumore del ruscello.
Che posti e che varietà di ambienti!
Non ci metto molto ad arrivare al Rifugio Campo, un’oasi di pace circondata da prati, boschi e baite
tenute in modo maniacale.
Entro per dissetarmi un po’, e dopo aver chiesto al gestore l’eventuale appoggio di una jeep per gli ultimi
chilometri rimango di stucco.
Mi viene detto infatti che il servizio è stato sospeso dal 20 agosto.
Nessun problema a percorrere la lunga Val Zebrù, ma questa informazione contrasta con la precedente
del Rifugio V° Alpini.
Credo che in caso di emergenza una persona debba sapere su cosa poter fare affidamento.
E’ quasi il tramonto, ho ancora un po’ di tempo e mi preparo a scendere.
Scelgo di non prendere il sentiero ufficiale che dal Rifugio Campo sale nei boschi a mezza costa, e aggira
il Confinale passando dalle baite dell’Ables tornando ai Forni (ripromettendomi solennemente di tornare
per completare questo itinerario), ma di scendere lungo la Val Zebrù per la poderale e raggiungere Niblogo dove
verso sera avrei potuto telefonare per avvisare casa.
Senza pormi il problema realizzerò a breve di aver scelto il percorso ancora più lungo.
Cammino quindi lungo questa valle lunga ben 12 chilometri, costeggiando il torrente e accompagnato dal
cinguettio degli uccelli del bosco.
Non incontro nessuno, a parte una coppia che sale con due bambini piccoli e che alle 17.30 è preoccupata di
non farcela ad arrivare al rifugio.
Interpellato consiglio loro di non proseguire, in quanto da metà valle circa, avrebbero dovuto camminare ancora
per più di un’ora, per poi scendere ormai dopo cena col buio.
Dopo le ultime curve nel bosco arrivo a valle con gli ultimissimi raggi di sole e mi ritrovo a Niblogo, bellissimo
paesino del Comune di Valfurva con una vista incantevole sui monti di questa valle.
Avviso a casa ma è quasi ora di cena e io devo ritornare ai Forni da dove sono partito.
Mi incammino aggirando il Confinale ma per la strada statale.
Non una bella trovata, soprattutto dopo che un’analisi della cartina mi porta a calcolare ancora 15 chilometri di marcia!
Era forse meglio stare sul sentiero accorciando il percorso, ma così almeno avendo avvisato a casa sono tranquilli.
Scendo lungo l’asfalto passando da Sant’Antonio e San Gottardo, e proseguo per la statale finchè negli ultimi
chilometri decido di fermare un taxi che mi sfreccia accanto, anzi un “alpin taxi”, che in breve mi riporta ai Forni.
Ho i piedi distrutti e le gambe non le sento più.
Ma il sorriso e la gioia di aver vissuto una giornata come questa, rimangono per ore e giorni dentro di me.
Che emozioni, che percorsi e che ambienti che ho attraversato.
Ognuno dei quali mi ha fatto vivere la montagna provando emozioni forti e uniche.
Torno a Cepina col buio, già con la voglia di ripartire e magari di esplorare le zone che oggi ho mancato.
Un anello favoloso che consiglio a tutti.
Da gustare magari più lentamente e a tappe.
Queste valli e questi monti sapranno incantare chiunque.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi


Note:
uno dei percorsi ad anello più famosi dell’Alta Valtellina, un classico.
L’intero anello è lunghissimo ed estremamente faticoso se percorso tutto d’un fiato, riservato ad escursionisti
fisicamente molto allenati e con un buon grado di preparazione.
Alcuni tratti insidiosi ed esposti si trovano poco prima dell’arrivo al Rifugio V° Alpini, a mezza costa in
esposizione su esile traccia, e in discesa dal Passo Zebrù dove le corde facilitano la progressione su terreno insidioso.
E’ consigliabile suddividere l’anello del Confinale in tappe, prevedendo due o tre giorni di cammino,
con pernottamento nei vari rifugi.
E’ altresì possibile effettuare il giro in senso opposto rispetto a quello descritto, con partenza e arrivo al
parcheggio di Niblogo.