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Cima Mandriolo 2.049 m. (Italia – al confine tra il Trentino e il Veneto)
un altro magnifico itinerario lungo l’interminabile cresta nord dell’Altopiano di Asiago che regala scenari assolutamente
strepitosi, aerei e isolati.
La traversata non pone alcuna difficoltà, un solo passaggio su roccette poco oltre Porta Manazzo
richiede un movimento un po’ più atletico

cima mandriolo porta manazzo


Località di partenza:
Rifugio Larici, Val d’Assa, Altopiano di Asiago

Quota di partenza: 1.658 m.
Quota di arrivo: 2.049 m.
Dislivello: 525 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: Cima Mandriolo si trova sulla cresta nord dell’Altopiano di Asiago e precisamente sul lato occidentale,
poco distante da Cima Vezzena e a picco sulla Valsugana

Difficoltà: E (un passaggio di I° grado poco oltre Porta Manazzo) [scala livelli delle difficoltà]
Segnaletica: dal Rifugio Larici a Bocchetta Larici sentiero n° 825
da Bocchetta Larici a Porta Manazzo sentiero n° 209
da Porta Manazzo a Cima Mandriolo Costalta sentiero n° 205
da Cima Mandriolo al Rifugio Larici sentiero della Pace (segnaletica non presente)
Ore: 4h  (anello completo)
Distanza: 9 km
Tipo di terreno: sentiero, prati, roccette, mughi, strada sterrata
Periodo: primavera, estate, autunno
Acqua lungo il percorso: al Rifugio Larici (partenza), alla Malga di Porta Manazzo, al Rifugio Val Formica
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Ritorno: da Cima Mandriolo scendendo dritti per pascoli (tenersi a distanza dalle mandrie), fino a raggiungere il
Sentiero della Pace e da qui a sinistra verso il Rifugio Larici, punto di partenza

Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli


Tecnicamente in breve

Dal Rifugio Larici (1.658 m.) saliamo il pendio erboso sulla sinistra (sentiero n° 825), attraversiamo un rado bosco di
abeti e larici e raggiungiamo la Bocchetta Larici (1.876 m.)
Da qui prendiamo a sinistra la cresta verso Cima Laste (1.867 m.) – sentiero n° 209 – e arriviamo a
Porta Manazzo (1.795 m.) 
Iniziamo quindi a salire in maniera più decisa lungo la cresta (sentiero n° 205), esposta in alcuni punti, fino ad arrivare
ad una bocchetta erbosa dalla quale per un altro breve tratto risaliamo fino ad incontrare alcune roccette, dalle quali si
diparte sulla destra l’esile sentierino che sale tra i mughi fino alla vetta di Cima Mandriolo (2.049 m.)
Dalla cima scendiamo nuovamente per mughi fino a ritrovare il sentiero n° 205, lo seguiamo a sinistra fino alla bocchetta
erbosa, e scendiamo sulla destra la larga pista che per pascoli conduce verso la mulattiera sterrata del
Sentiero della Pace.
Una piccola deviazione sulla destra è doverosa per visitare i ruderi di baracche italiane, che sorgono là dove oggi
ci sono alpeggi.
Proseguiamo poi a sinistra lungo questo sentiero e, ad un bivio poco più in basso, svoltiamo nuovamente a sinistra per
ritornare al Rifugio Larici.

Eccomi di nuovo al cancelletto di partenza del Rifugio Larici, pronto per un’altra grandiosa escursione lungo la
cresta nord dell’Altopiano di Asiago.
Cresta che strapiomba direttamente sulla Valsugana e per questo in grado di regalare vedute mozzafiato.
Anche questo percorso è stato segnato da importanti eventi bellici, non solo durante la Grande Guerra ma anche
nella Seconda Guerra Mondiale, che ancora fanno riflettere sull’inutilità di questi conflitti.
Arrivando con l’auto da Asiago, oltrepasso Camporovere e percorro un tratto della Strada Provinciale 349 della Val d’Assa
fino al bivio sulla destra dove è presente la deviazione per i rifugi Larici e Val Formica.
Questa volta non arrivo prestissimo la mattina e nel parcheggio c’è già un po’ di fermento.
Anche oggi è una splendida giornata di sole, le mucche nei pascoli circostanti e in quelli sull’antistante Monte Cucco
hanno già timbrato il cartellino per lo sfalcio dei prati.
Imbocco sempre il sentiero che parte alla sinistra del rifugio e inizio a salire il ripido pendio erboso mentre qualche
mucca mi saluta.
Davanti a me vedo un nutrito gruppo di persone e una coppia subito dietro, folla che preferirei lasciare andare.
Finito lo strappo continuo a camminare più dolcemente tra larici e abeti fino a raggiungere la Bocchetta Larici dalla
quale in precedenza ero partito per salire a Cima Portule.
Nonostante sia preparato al panorama, mi fermo anche stavolta rapito dal vuoto verso la Valsugana e il Lagorai da una
parte e dai dolci declivi erbosi e boscosi dal lato dell’Altopiano.
Per quanto mi riguarda, oggi il mio sguardo si rivolge a sinistra, verso la lunga cresta che porta a Cima Mandriolo Costalta.
Penso siano in pochi a percorrere questo tratto, in quanto quasi chiunque per salire tale cima preferisce accorciare il
percorso da Malga Porta Manazzo.
E in effetti è così: il super gruppo sale dalla parte opposta verso Cima Larici così che il vociare si riduce a silenzio.
Sono di nuovo solo a muovere i primi passi sul sentierino di cresta, in mezzo a una natura rigogliosa di mughi e conifere.
Il Mandriolo è già visibile in lontananza, fa capolino tra i rami delle piante e indica con chiarezza la direzione.
La strada per arrivarci però sarà ancora lunga!
Comodo, ben indicato e un po’ a saliscendi, il primo tratto aggira i mughi e gli alberi concedendo ampie vedute verso
la Valsugana e l’Altopiano.
Da qui spicca il verde intenso dei pascoli del Monte Cucco punteggiati da numerose mandrie di mucche.
Purtroppo la foschia non concede una vista più in profondità, ma del resto nelle giornate di pieno sole è sempre difficile
avere un terso orizzonte.
Poco più in là il bosco si dirada completamente lasciando spazio ad un vasto pendio erboso.

Il sentiero taglia questi prati mantenendosi abbondantemente sotto la linea di cresta, ma sarà anche l’unico momento
in cui non passerò sul filo.
In ogni caso esili tracce portano verso lo strapiombo e consentono sempre di andare ad ammirare il panorama.
Questo piccolo rilievo sul quale sto camminando è il Monte Laste.
Da questo grande spazio aperto si amplia anche la vista verso la Val d’Assa, (dominata dal Monte Verena) e verso
Vezzena, preceduta dalla Cima del Mandriolo che continua a seguire immobile il mio avvicinamento.
Nonostante la quota modesta il paesaggio è davvero fenomenale, presentando una varietà di ambienti notevole che
partono dai prati per salire fino a boschi e alle rocce.
Il tutto però non è brusco ma dolce, dove una distesa di rilievi si accavalla lasciando liberi i nostri occhi di spaziare
in ogni direzione.
Al termine di questo grande prato rientro nel bosco e all’improvviso torno a guardare l’immenso salto roccioso che
precipita alla mia destra.
Solo gli alberi limitano un po’ la visuale e fungono da “sponda”.
Il terreno torna ad ammorbidirsi grazie alla copertura di aghi di pino, ed è un piacere lasciarsi trasportare su e giù lungo
questo sentiero.
Poi, all’improvviso…bam!
La Cima Mandriolo appare con la sua caratteristica punta sempre più vicina, massiccia, imponente e per certi aspetti,
vista da qui, inquietante con la voragine verso valle.
La discesa verso Porta Manazzo è caratterizzata da una quantità enorme di tronchi abbattuti ai lati del sentiero che
a fatica riesce a farsi strada.
Sono alberi schiantati dalla furiosa tempesta Vaia dell’autunno del 2018, che in questa zona stranamente non sono
stati recuperati.
In ogni caso il sentiero è stato sgomberato e si passa, ma la furia del vento è ancora racchiusa in questi tronchi che
sembrano implorare pietà.
Porta Manazzo è una piccola sella erbosa che si incontra poco prima di affrontare la salita in cresta al Mandriolo e
in corrispondenza della quale, pochi metri più sotto c’è l’omonima malga alla quale si giunge dalla grande mulattiera sterrata,
oggi Sentiero della Pace.
Qualche auto è arrivata fin quassù dai rifugi sottostanti ed è stata parcheggiata direttamente sulla sponda di un
abbeveratoio per il bestiame.
Se potesse la gente raggiungerebbe anche le vette più alte e impervie con l’auto, da non credere….
Il panorama da questo punto è come sempre immenso verso la Valsugana e l’Altopiano sul quale inizia a delinearsi anche
la più distante Piana di Vezzena.
Oggi la zona è tranquilla, ma durante la Grande Guerra questo era un caposaldo italiano nel quale le artiglierie prendevano
di mira i Forti Verle e Luserna, oltre a tagliare i rifornimenti al nemico.
Una lunga trincea ormai inerbita sale verso il Mandriolo, mentre a qualche metro di distanza della forcella sono ancora
visibili le due gallerie dove venivano collocati i cannoni.
La prima galleria è visitabile e presenta due uscite, quella più lontana rafforzata col calcestruzzo.
Probabilmente, a seconda delle necessità, si sparava verso la Valsugana e verso l’Altopiano.
La seconda galleria è purtroppo crollata e questo l’ho scoperto dopo un po’ di equilibrismo su rocce instabili e vegetazione
altissima, che ho superato a fatica per avvicinarmi.
Un peccato non sia stata ripristinata o segnalata con qualche pannello informativo.
A Porta Manazzo vi è anche una croce in legno e ferro a ricordare il luogo dove caddero in combattimento i partigiani
durante la Seconda Guerra Mondiale.


Cima Mandriolo e Porta Manazzo

Anche tutta l’area compresa tra Porta Manazzo e Cima Mandriolo è stata coinvolta negli scontri bellici della
Prima Guerra Mondiale.
In uno speciale bollettino, il Generale Cadorna in persona parla di resistenza oltre ogni limite da parte delle sue truppe
dislocate in queste zone.
Resistenza non solo nei confronti del nemico, ma anche verso un meteo spesso avverso che si manifestava con nebbie
in grado di rallentare il tiro delle artiglierie, dando tempo all’avversario di riprendersi e riparare i danni ai forti.
Cadorna parla anche di qualche piccolo scontro dall’esito favorevole che in realtà non portò mai ad alcun risultato
significativo.
A Porta Manazzo si insediò una guarnigione italiana di 300 uomini circa, che disponeva di molte bocche da fuoco aventi
lo scopo di tagliare i rifornimenti agli austriaci sulla Piana di Vezzena, in particolare tra il Forte Busa di Verle e quello
situato a Cima Vezzena.
La 147° disponeva del micidiale obice da 305 mm, la 540° di 4 cannoni da 149 mm di tipo G (ghisa),
la 563° di 2 cannoni da 149 mm di tipo A, oltre a 4 mortai da 210 mm collocati tra Porta Manazzo e Cima Larici.
A questi pezzi si aggiungevano la 145° con un altro obice da 305 mm collocato nella Valle degli Sparavieri e la 543° con
4 obici da 210 mm piazzati a Costa di Sopra.
Queste artiglierie fin dai primi mesi del conflitto, iniziarono a prendere di mira non solo le strade di collegamento, ma anche
i Forti Verle e Luserna.
A Porta Manazzo sono visibili ancora oggi le trincee che conducevano alle gallerie protette dov’erano collocati i cannoni.
La prima galleria in particolare è ancora integra mentre la seconda è purtroppo crollata.
In queste gallerie, a doppia entrata, probabilmente i cannoni venivano spostati sia sul lato Vezzena che sul lato Valsugana
dove dall’alto potevano prendere di mira soldati e rifornimenti.
Un altro paio di ricoveri in caverna sono visibili lungo il Sentiero della Pace, sulla via di rientro dalla Cima Mandriolo.
Sono ancora quasi integri anche se la vegetazione ormai ne ha quasi impedito l’ingresso, almeno d’estate.
Porta Manazzo è stata anche un rifugio partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale.
Una croce in legno e ferro ricorda il luogo dove caddero in combattimento i partigiani Ferruccio Bergozza “Speranza” e
Luigi Organo da Poleo di Schio.
Si racconta di Ferruccio che, nonostante la sua malattia, combatté nel bosco il nemico che avanzava, morendo a
1795 metri di quota.
La madre ritrovò il suo corpo a guerra finita, dopo la Liberazione.
Nel 1944 arrivò in queste zone un gruppo di garibaldini della Brigata Garemi che riuscirono a catturare un camion di
rifornimenti nemico, tra Arsiero e Barcarola.
Rientrarono sull’Altopiano con viveri e 7 prigionieri.
Accortisi dell’accaduto i tedeschi iniziarono i primi rastrellamenti nei paesi limitrofi portando numerosi ostaggi ad Asiago.
Nel frattempo bruciarono case, chiese, negozi.
Altre persone vennero fatte prigioniere a Roana, Mezzaselva, Casotto e Rotzo.
Il 21 maggio 1944 i tedeschi avviarono una caccia spietata atta a stanare i partigiani ritenuti responsabili dei fatti in
Val d’Astico, uomini che nel frattempo si erano rifugiati a Porta Manazzo.
Molti partigiani per evitare la cattura si gettarono nel burrone verso la Valsugana, ma Ferruccio Bergozza, che decise di
combattere, venne ucciso.
Con lui caddero prigionieri Luigi Organo, poi fucilato, e Girolamo Lampo, deportato in seguito a Dacau.
I tedeschi non si fecero scrupoli a bruciare ogni cosa, alberi, malghe, case di pastori e tutti i potenziali rifugi di coloro
che resistevano.

gallerie di guerra altopiano di asiago

Ricovero in caverna per artiglieria

Dopo queste visite, prima di proseguire il mio cammino do un’occhiata alla segnaletica che, curiosamente, indica
come inagibile il proseguo del sentiero (n° 205) verso il Mandriolo.
Un bel cartello di divieto copre l’indicazione verso la cima.
Girovagando in queste zone ho imparato ad ignorare questi avvisi.
Non perché sia un ribelle inosservante delle leggi, ma perché tali indicazioni fanno riferimento ai tronchi abbattuti sul
sentiero proprio a causa della passata tempesta che nel frattempo sono stati rimossi o spostati.
In questi anni il passaggio è stato liberato, come visto nel tratto precedente, ma non hanno tolto i segnali di divieto.
In ogni caso, tornare indietro di fronte ad un eventuale ostacolo insormontabile sarà sempre possibile ma, come constaterò,
la via sarà assolutamente libera.
Procedo dunque in direzione della mia meta, affrontando subito il tratto un pochino più tecnico della giornata.
Il sentiero si impenna leggermente riportandosi verso la cresta, superando salti di roccette e radici nei quali ci si
aiuta con le mani.
Nulla di difficile, ci mancherebbe, al massimo uno di questi passaggi potrebbe essere classificato come I° grado date le
maggiori “doti atletiche” richieste.
Ai lati del sentiero tronchi enormi non mancano di certo, questi poveri alberi sono stati gettati al suolo in una frazione di
secondo, come fiammiferi.
Strano che al contrario di altre zone dell’Altopiano qui non si sia provveduto al recupero di tutto questo materiale
così prezioso.
Ancora una volta tocchiamo con mano gli effetti dei cambiamenti climatici, dove eventi di questa portata saranno
sempre più frequenti.
Ostacoli nel procedere non ne incontro, il sentiero è sempre pulito e ben indicato.
Alcuni passaggi sono spettacolari con mezze arrampicatine tra roccette cosparse di aghi di pino, mentre a due metri sulla
mia destra, il vuoto verso la Valsugana e la Valle di Sella mi ricorda di essere nuovamente in alto, sul filo.
Alcuni terrazzini rocciosi sembrano essere stati messi lì apposta per ammirare un panorama davvero unico, in grado di
regalare emozioni ovunque si volga lo sguardo.
Come il Portule, anche questa cresta non delude mai per spettacolarità e varietà di ambienti.
Sempre su e giù, sotto larici, abeti e pini e poi sul filo, a pochi metri dal vuoto su bellissime rocce.
Questi percorsi sono incredibili!
La giornata si fa un pochino più tersa e come d’incanto anche tutta l’opposta catena del Lagorai si distende in un mare
infinito di cime.
Al termine di questo tratto come per magia, tutti gli alberi scompaiono e io mi ritrovo di nuovo su verdi prati circondato da un
esercito di mughi.
Proprio loro, i mitici mughi!

La meta si avvicina, e sempre seguendo il sentiero dopo qualche altro su e giù, giungo a una piccola bocchetta erbosa
dove vedo salire dalla strada che corre più in basso alcuni bikers, su una pendenza impossibile.
Scavalco ancora un dosso e poi un breve pendio, e arrivo in una conca dove alcune rocce sulla mia destra sono
assediate dai mughi.
All’inizio non ci faccio caso e tiro dritto, ma voltandomi per un attimo indietro, noto che da quel punto parte un’esile traccia
verso la cima vera e propria (il sentiero che prosegue poco sotto la cresta, si porta in direzione del Camin e di
Cima Vezzena).
Torno qualche passo indietro e inizio a salire un breve tratto ripido fino alla punta, tratto che risulta essere molto divertente.
La traccia infatti è sgombra solo per i primi metri, poi si butta a capofitto direttamente nei mughi.
Non c’è scampo, tocca spostarli.
Ma è bellissimo, è natura, e queste povere piante non fanno assolutamente niente.
Dopo un arbusto dopo l’altro e qualche gimcana, esco sulla cima che in realtà è anch’essa una piccola cresta.
Sono a un metro da un salto di più di mille metri ed è bene che mi fermi qui, seduto su qualche roccia a riposare e
fare uno spuntino.
Inutile dire del panorama che si gode da quassù, cosa si potrebbe raccontare di diverso da quanto si è
precedentemente detto?
Potrei dirvi di guardare il mondo dall’alto, da una nuvola sospesa nel vuoto, di essere liberi, isolati, nel vento, riscaldati
dal sole, di essere in uno dei luoghi più belli e incredibili.
Questo e molto di più, ma immagino siano cose che si sappiano già.
Lascerò parlare le foto allora senza descrivere ogni singola cima o valle che riconosco, in modo da lasciarvi il gusto
della scoperta.
Se provate a contare cime e paesi però, scoprirete che due mani vi andranno parecchio strette.
Il ricordo visitando questi luoghi ovviamente va anche a quei poveri soldati che quassù resistevano, combattevano e si
sono sacrificati per un ideale.
Un luogo stupendo oggi, di morte in passato, preso di mira dalle artiglierie austriache una volta individuata la provenienza
dei tiri dei potenti obici da 305 mm italiani.
E, come sempre, oltre alle granate c’era quasi sempre il meteo ostile, specialmente d’inverno, la dura vita in caverne
e trincee, la scarsa igiene ecc.
Preso dalle riflessioni e dal panorama, mi lego ad una roccia a fissare il vuoto e gli spazi intorno a me provando anche
solo ad immaginare lo scenario ben differente di più di un secolo fa.
Mi dimentico così di fare qualche metro in più in là per fotografare la croce in metallo lì presente, ma non importa.
Trascorro quasi due ore quassù, da solo (c’è solo una coppia poco più in là) prima di iniziare a scendere.

Osservo attentamente lo spostarsi di una mandria di mucche lungo il pendio erboso dal quale ho scelto di abbassarmi
per raggiungere il Sentiero della Pace, dal quale rientrerò al Rifugio Larici.
Non vorrei infatti passare in mezzo al bestiame, dato che so della possibile presenza di cani da guardia.
Era meglio che stessero nei pressi dell’abbeveratoio sulla destra dove si trovavano poco prima ma tant’è.
Ripercorro quindi i miei passi tra i mughi e poi sul sentiero 205 fino alla bocchetta erbosa sotto la quale scende
un’invitante pista erbosa.
Discendo da questo punto fino a portarmi a 100 metri da loro, e poi devio dal percorso prendendo a destra nella
direzione da dove sono arrivate le mucche.
Deviazione fuori rotta, fortunata direi, in quanto passo accanto ai resti di baraccamenti militari ben visibili sul terreno
dei quali oggi rimangono solo piccoli muretti in pietra perimetrali.
Superato un abbeveratoio raggiungo la sterrata.
Da qui il percorso di rientro sarà facilissimo e ultra-comodo.
Dopo appena qualche passo noto un avviso riportante con l’indicazione di non attraversare le mandrie o infastidire il
bestiame che, a detta del cartello, è in genere bravo ma se disturbato può anche “impazzire”.
Strani avvisi in questi posti, ma sono d’accordo con le parole impresse, e mi dico di aver fatto bene ad aggirare il
raduno al pascolo.
La sterrata entra nel bosco e mi porta ad un bivio nel quale prendo a sinistra per i rifugi.
Appena svoltato noto un grande ricovero in caverna alla mia sinistra, purtroppo anch’esso invaso dalla fitta vegetazione
e quindi non visitabile.
Questo ricovero serviva anch’esso per i battaglioni italiani e per l’artiglieria nella difesa di questa posizione durante
la guerra.

La strada che da qui scende verso la Malga Manazzo, forse come testimonianza degli eventi qui occorsi è stata
delimitata sulla destra con una staccionata di filo spinato.
Nei pressi della malga, direttamente sotto Porta Manazzo poco più in alto, vedo ancora qualche auto parcheggiata e un
altro cartello inquietante riportante questa scritta:
ATTENZIONE: greggi e mandrie al pascolo con cani anti-lupo.
Si prega di non attraversare il gregge e le mandrie, non correre, non effettuare movimenti improvvisi.
I cani vanno tenuti al guinzaglio.
I cani pastore difendono greggi e mandrie. Grazie.”
Ecco che, come a Malga Larici sulla via di ritorno dal Portule, mi faccio la mia bella seconda sudata fredda.
Nel mentre cerco di trasformarmi nuovamente in un elfo, invisibile e dal passo felpato.
Avranno anche messo al sicuro le greggi con questi sistemi, ma hanno peggiorato la situazione dei poveri escursionisti.
Come dire, “passate pure in questo campo, ma occhio alle mine”.
Scampato pericolo, mi porto a monte del Rifugio Val Formica, preso d’assalto, e scendo la mulattiera fino a ritornare
sull’asfalto dal quale in breve raggiungo il Rifugio Larici e recupero l’auto.
Si è conclusa un’altra giornata meravigliosa in luoghi ricchi di significato e oggetto di riflessione, oggi caratterizzati da
scenari e panorami unici che invito chiunque ad andare a scoprire.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Si ringrazia per la collaborazione fotografica: Davide Allegri (Facebook –  Youtube)


Note:
a
ltro magnifico itinerario lungo l’interminabile cresta nord dell’Altopiano di Asiago che regala scenari assolutamente
strepitosi, aerei e isolati.
La traversata non pone alcuna difficoltà.
Un solo passaggio su roccette poco oltre Porta Manazzo richiede un movimento un po’ più atletico.
Nonostante l’assoluta percorribilità del sentiero da Porta Manazzo al Mandriolo, la segnaletica a Porta Manazzo riporta
il divieto e l’inagibilità di tale tratto di cresta.
Attenzione agli avvisi nei pressi di Malga Porta Manazzo riguardo la possibile presenza di cani anti-lupo.
Camminare sempre restando sulla larga mulattiera senza correre o fare movimenti bruschi.