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La Foresta di Canzo e il bosco artificiale
questi boschi e queste riserve naturali fanno parte del progetto “Natura 2000”, nome assegnato dall’Unione Europea
ad un sistema coordinato di aree col fine di conservarne la biodiversità, sulla base di determinati parametri.

foresta corni di canzo

Il territorio dei Corni di Canzo
La Foresta Regionale Corni di Canzo, così come la Riserva Naturale Regionale Sasso Malascarpa e il PLIS
(Parco Locale d’Interesse Sovracomunale) di S. Pietro al Monte-S. Tomaso, fanno parte della ZPS, ossia
la Zona di Protezione Speciale Triangolo Lariano.
Questa ha una superficie complessiva di 593 ettari e comprende anche i comuni di Canzo, Valbrona e Valmadrera.
Più della metà della ZPS coincide con la parte di territorio sul quale è stato istituito il Sito di Importanza Comunitaria
“Sasso Malascarpa” che a sua volta coincide con l’area della Riserva Naturale omonima.
Praticamente tutta la parte a sud-ovest dei Corni è strettamente tutelata e protetta.
Va dai 550 m. del fondovalle (torrente Ravella) ai 1.372 m. della vetta del Corno di Canzo Occidentale.
Questi boschi e queste riserve naturali fanno parte del progetto “Natura 2000”, nome assegnato dall’Unione Europea ad
un sistema coordinato di aree col fine di conservarne la biodiversità, sulla base di determinati parametri.
In Lombardia è l’ERSAF (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste) a gestire il patrimonio forestale
che attualmente comprende oltre 23.000 ettari di boschi, pascoli e terreni incolti.

Il paesaggio
Il paesaggio
di queste zone, tipicamente prealpino, sembra un vero e proprio puzzle nel quale ogni tassello è
stato incastrato alla perfezione.
In alcuni punti, boschi naturali di latifoglie ospitano:
– il carpino nero (Ostrya carpinifolia),
– il frassino maggiore (Fraxinus excelsior),
– il faggio (Fagus sylvatica),
– il tiglio (Tilia cordata),
– l’acero montano (Acer pseudoplatanus).
In altri è stata la mano dell’uomo ad intervenire, principalmente con rimboschimenti artificiali di conifere.
Ecco allora:
– l’abete rosso (Picea abies), – il larice giapponese (Larix kaempferi),
– il pino dell’Himalaya (Pinus excelsa wallichiana),
– l’abete bianco (Abies alba),
– la Douglasia (Pseudotsuga menziesii),
– il cedro (Citrus medica),
– il pino silvestre (Pinus sylvestris),
– il cipresso (Cupressus)
che cercano insieme una pacifica convivenza (anche se non sempre ci riescono).
Per ultimo vi sono prati e pascoli e i massicci rocciosi dei Corni di Canzo e del Sasso Malascarpa, “vecchi” di 200
milioni di anni e originatisi per deposizione di calcare in basse acque marine (le rocce sono il risultato della
stratificazione e trasformazione dei fondali marini, un tempo popolati da molluschi, pesci e coralli di cui oggi
si possono osservare, soprattutto al Sasso Malascarpa, alcuni fossili).

L’intervento dell’uomo
Questi ambienti sono stati pesantemente modificati dall’uomo che prima ha disboscato per far posto a colture agrarie,
pascoli e alpeggi e poi, a partire dagli anni ’60 ha rimboschito gli ambienti con conifere, che sono andate a
sovrapporsi ai terrazzamenti precedentemente costruiti.
La pastorizia e l’agricoltura sono cessate negli ultimi decenni, (solo a Terz’Alpe si esercitano ancora queste attività),
e ciò ha permesso alle specie di origine naturale di riconquistare gli spazi vuoti e ormai abbandonati.
Betulle (Betula pendula), Sorbi montani (Sorbus aria), Noccioli (Corylus avellana) e Saliconi (Salix caprea)
sono nuovamente diventati i principali attori.
Nuove specie hanno approfittato dell’espansione del bosco naturale e si sono autoinvitate alla festa:
– Carpini neri (Ostrya carpinifolia),
– Frassini maggiori (Fraxinus excelsior),
– Aceri montani (Acer pseudoplatanus),
– Ciliegi (Prunus avium),
– Faggi (Fagus sylvatica),
– Tigli (Tilia cordata),
– Roverelle (Quercus pubescens)
formano attualmente una vera Babele di specie arboree.
Tra tutto questo marasma però il re è proprio lui, il Faggio (Fagus sylvatica) e non solo da queste parti,
ma in tutta la penisola.
Studi approfonditi e portati avanti da esperti, ci rivelano che la sua presenza si attesta intorno al miliardo di esemplari.
I rimboschimenti artificiali di conifere, si trovano maggiormente nella parte bassa della Val Ravella e
comprendono prevalentemente
– l’Abete rosso (Picea abies),
– il Pino dell’Himalaya (Pinus excelsa wallichiana),
– l’Abete bianco (Abies alba),
– il Larice giapponese (Larix kaempferi)
– il Cedro dell’Atlante (Cedrus atlantica)
Oltre il limitare del bosco, si sono sviluppati prati magri, acidi e calcarei (soprattutto nei pressi del Sasso Malascarpa),
con una gran varietà di fiori ed erbe che si sono insinuati fra le rocce, e che ogni anno attirano numerosi visitatori e botanici.
Le specie principali sono:
– l’Erba Regina (Telekia speciosissima),
– la Campanula dell’Arciduca (Campanula Raineri),
– l’Elleboro (Helleborus),
– la Primula glaucescente (Primula glaucescens),
– l’Aglio d’Insubria (Allium insubricum),
– la Peonia (Peonia officinalis),
– il Raponzolo (Physoplexis comosa),
– il Citiso insubrico (Cytisus emeriflorus)

Pro e contro di un bosco artificiale
La parte di foresta artificiale di Canzo è, come detto, caratterizzata da conifere altissime come le Douglasie o abeti
del Canada (Pseudotsuga menziesii), che raggiungono un’altezza record di 62,45 m. e con la loro disposizione ricordano
molto le famose sequoie americane localizzate nel parco della Sierra Nevada.
Certamente i tronchi di questi alberi non hanno circonferenze pari a quelle delle suddette sequoie, anche se alcune
sono comunque notevoli.
In compenso queste piante sono talmente alte che si fatica a distinguerne le chiome, e certamente passeggiando ai
loro piedi non si rischiano insolazioni.
Fermarsi tra questi tronchi consente di vivere un’esperienza unica e di assaporare il profumo delle conifere.
Non solo, il bosco montano è anche una delle migliori terapie contro disturbi e patologie varie, senza contare che
molti frequentano questi ambienti, anche solo per lasciarsi alle spalle lo stress cittadino e rigenerare corpo e mente.
E a ragione, è stato dimostrato che il contatto con la vegetazione di un bosco, riduce l’ansia e lo stato di collera,
rilassa, migliora i sintomi della depressione, ed è perfino in grado di sviluppare la creatività e di aprire la mente.
Sono questi i principali benefici per la salute. 
In questa foresta in particolare, che caratterizza la bassa Val Ravella, si può uscire dalla traccia principale almeno per
alcuni metri, senza il timore di perdersi e questo perché il sottobosco è “pulito” e trasformato dall’uomo.
Non vi sono rovi, arbusti bassi, erbe alte o rami fra i quali passare, ma solo un suolo morbido cosparso dagli aghi delle
piante sul quale risulta piacevole muovere qualche passo. 
Altri vantaggi del bosco artificiale riguardano il terreno e il territorio.
Un progetto simile può essere realizzato per frenare l’erosione del suolo, per privilegiare l’aspetto economico
(produrre legname in poco tempo), per proteggersi da valanghe o inondazioni, controllare il livello di anidride carbonica,
ricostituire la biodiversità di un luogo, frenare processi di desertificazione, o ancora innalzare il livello delle acque
sotterranee nelle falde acquifere della zona.
Nonostante ciò, come in tutte le cose, non è tutto oro quello che luccica.
Il più delle volte la biodiversità che si voleva ricostituire, risulta a lungo andare davvero scarsa e il numero di specie
animali e vegetali esigua.
Il risultato che si ottiene molte volte non è quello sperato e, anzi, capita sovente che alcune specie arboree
dominino sulle altre.
Soprattutto, come nel caso della foresta di Canzo, quando si introducono specie esotiche che sono in diretta
competizione con la nostra flora.
Inoltre, essendo ridotto il numero di tali specie, si ha una probabilità maggiore che queste vengano attaccate da parassiti,
insetti, funghi e non solo.
Un bosco di tale natura ha anche più alte probabilità di essere attaccato dal fuoco, soprattutto nei periodi di siccità,
e questo per l’impoverimento del sottobosco che, come detto, è costituito da un tappeto di aghi di conifere che si
decompongono molto lentamente, producendo humus poco fertile.
Impoverimento causato anche dal fatto che lo stesso sottobosco, riceve poca luce per via della perenne copertura
delle chiome.
Anche gli animali scarseggiano.
Tuttavia, con un po’ di fortuna, tra le chiome possono essere osservati scoiattoli, gufi, ghiandaie, allocchi e falchetti.
Al suolo, topolini selvatici, e formiche rosse, individuabili per l’altezza dei loro nidi rivestiti di aghi di conifere.

Reportage e fotografie di: Daniele Repossi

foresta di canzo