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Monte Fajé 1.352 m. – Rifugio  Fantoli 1.005 m.
(Italia – Verbano Cusio Ossola)

anello molto panoramico lungo la dorsale che divide la Val Grande, dalla zona pedemontana coi laghi Mergozzo e Maggiore

la vista dal Mont Faje


Località di partenza:
Bracchio, Mergozzo

Quota di partenza: 310 m.
Quota di arrivo: 1.352 m. 
Dislivello: 1.142 m. (dislivello positivo totale)

Posizione: il Monte Fajè si trova al confine tra la selvaggia Val Grande e la zona collinare dei laghi Mergozzo e
Maggiore, il Rifugio Fantoli è situato all’Alpe Ompio nel comune di San Bernardino Verbano

Difficoltà: E per quasi tutto il percorso / EE la tratta che va dall’Eremo alla Colma di Vercio
[scala dei livelli delle difficoltà]

Ore: 6h 30’ (andata e ritorno)
Periodo: tutto l’anno, in assenza di neve
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: dalla cima del Monte Faiè per l’Alpe Ompio e il Rifugio Fantoli, quindi di nuovo all’Eremo di Vercio e
da qui per la via di salita fino a Bracchio
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

Ecco una bella escursione da fare in qualsiasi stagione (ma in assenza di neve almeno per il tratto sotto la Colma di Vercio),
molto remunerativa e con un panorama grandioso che spazia dai monti alla pianura.
Una meta da scegliere soprattutto quando ancora non fa troppo caldo, data la quota modesta.
Questa gita l’ho scoperta girovagando per la rete proprio per questo motivo.
Cercavo una bella ascensione ad una cima molto panoramica, che mi consentisse anche di svolgere un buon allenamento
in vista dell’estate e di mete più impegnative.
Quello che mi sono trovato davanti è stata una bellissima sorpresa e, alla fine, pur rimanendo nella traccia suggerita,
l’itinerario a tratti me lo sono costruito (e un po’ allungato verso la Val Grande).
È in una giornata di maggio un po’ variabile che raggiungo il paesino di Bracchio, nei pressi del Lago di Mergozzo,
dopo aver abbandonato l’autostrada Gravellona-Toce all’altezza di Baveno.
Bracchio è proprio carino e tranquillo come paese ed è in una piccola piazzetta che lascio l’auto.
Non so ancora se riuscirò a fare tutto il giro che avevo visto da casa, non conosco i posti ed eventuali difficoltà.
Per non parlare della lunghezza dell’intero percorso.
Mi fisso quindi come meta, la salita al Monte Faiè, che passa prima per l’Eremo e la Colma di Vercio.
Mi metto in marcia verso le 9.30 del mattino, la temperatura è piacevole e per ora c’è un timido sole.
Sono ad una quota molto bassa ma il dislivello che dovrò affrontare supera i mille metri per un’ascesa che si preannuncia abbastanza faticosa.
Cammino tra le viuzze di Bracchio fino a Piazza Fontana, seguendo la segnaletica del CAI presente fin da subito e dopo
qualche minuto arrivo alla chiesetta di San Carlo e Marta dalla quale, a sinistra, parte il sentiero vero e proprio per
l’Alpe Vercio.
Salgo ancora per qualche metro tra le abitazioni e, ad un bivio, lascio sulla destra la deviazione per Bosco Piano-Ompio.
La salita parte piuttosto forte su una bella mulattiera di ciottoli, al lato di una recinzione e accanto ad un piccolo ruscello.
Il sentiero è comodo ma devo risparmiare un po’ le energie e non tirare troppo.
Senza accorgermene sono nel fitto di un bel bosco di castagno e dopo le prime rampe arrivo ad attraversare un
ponticello di legno sul torrente della Valle delle Noci.
La mulattiera continua ad essere lastricata ma senza più ciottoli.
In un’apertura tra gli alberi scorgo a fatica il sottostante Lago di Mergozzo, la visuale infatti non è limpida come vorrei per
via della foschia che tiene nascosto il Lago Maggiore.

Proseguo sul sentiero passando accanto, in ordine, alla cappella raffigurante la Madonna col Bambino, una serie di
baite diroccate (Curtghei), e attraversando il torrente Rescina.
Dopo essere passato accanto anche ad altre baite in rovina, arrivo ad una stanga con un cartello di metallo indicante la
proprietà privata dell’Eremo di Vercio.
Sono quasi arrivato.
Dopo un breve tratto ancora nel bosco, affronto le ultime rampe passando accanto ad un terrapieno con una bellissima
fioritura di azalee, arrivando in un’ampia radura meravigliosa.
Vasti prati curati fino all’inverosimile ospitano una moltitudine di fioriture che in primavera assumono i più svariati colori. Rododendri, azalee, ortensie e camelie, non mancano di calamitare lo sguardo dell’escursionista che mette piede in
questi giardini.
È un grande terrazzo verde, un parco dove tutto è in ordine e ogni cosa è al suo posto.
Cespugli sagomati, piante verdi e l’erba che neanche un inglese riuscirebbe a curare meglio.
Ogni tanto sotto la chioma di un albero spunta una panchina di legno o un tavolo da picnic invitando la gente a
sostare per consumare qualcosa, ammirando allo stesso tempo un panorama grandioso che parte dai laghi di Mergozzo e Maggiore e si estende a quelli di Varese, d’Orta e di Monate.
Le cime che li contornano non sono da meno.
Mottarone, Massone, Corni di Nibbio e l’isolato Montorfano sembrano tenersi stretta la fitta vegetazione che cresce
lungo i loro versanti. 

Purtroppo oggi la giornata non è delle migliori e il mio sguardo non si può spingere molto lontano.
Alle spalle di questa radura dove si trova anche l’Oratorio dedicato alla Madonna di Vercio, (una targa sul muro della
chiesa ricorda gli avvenimenti storici della Seconda Guerra Mondiale quando i tedeschi hanno bombardato la zona e
l’Alpe Vercio offriva rifugio ai partigiani) si trovano anche le baite completamente ristrutturate dell’Alpe Vercio.
Di questo posto si è preso cura per più di sessant’anni Don Piero (Piero Udini) e ora, dopo la sua scomparsa, se ne
occupa un’associazione nata per sostenere l’opera iniziata da lui.
Avevo anche letto che anni fa molte persone sono state accolte molto scortesemente all’Alpe Vercio, non da Don Piero, ma
da un lavorante, un abitante solitario del luogo che ora sembra scomparso.
Non c’è nessuno, oggi infatti sono l’unico ospite del luogo, nemmeno un’escursionista.
Vago un po’ ovunque per l’Alpe Vercio, tra la natura e le fioriture, ogni tanto guardando verso valle in attesa di un miglioramento
meteo che non sembra arrivare.
Non vi sono veri e propri sentieri in questo parco, cammino senza seguire un percorso che invece fino al cartello in metallo
poco più in basso era ben chiaro.
Devo ora proseguire verso la cima del Monte Faiè, o almeno provarci.
Guardo quindi la cartina per orientarmi meglio e cercare il sentiero giusto, quello che sale alla Comba di Vercio.
Non lo vedo però e così mi metto a girare alla disperata ricerca del sentiero.
Non c’è, percorro un tratto in quella che mi sembra la direzione corretta ma poi torno sui miei passi.
Attraverso i cespugli, sotto le piante, raggiungo un crinale ma poi ritorno alla chiesetta senza risultati.
Riguardo la cartina comparando ogni singolo punto visivo con essa, associo i nomi a ciò che vedo.
Avanzo ma poi torno e cambio sempre direzione.
Mi sembra una comica e mi metto anche a ridere.
È buffo perché mi immagino un’eventuale ripresa che mostra un puntino muoversi da tutte le parti con una cartina in mano. Possibile?
Non si va proprio avanti?
Mi concedo una pausa e decido di andare ad esplorare più da vicino le baite a monte, le uniche che sono rimaste fuori
dalle mie ricerche.
Casualmente, girandoci intorno, sul retro di una, vedo come un inizio di una labile traccia sommersa dal fogliame e
dai rami secchi.
Oltre a questa giungla il sentiero però lo distinguo bene, sale e si inoltra nel bosco.
È lui, quello giusto!
Rido ancora pensando ad un machete che ora mi servirebbe e che non ho nello zaino, ma districandomi un po’
riesco ad oltrepassare l’ostacolo.
Sono di nuovo in pista e posso proseguire.
Mentre salgo mi chiedo continuamente come sia possibile non mettere un cartello con una traccia ben visibile per chi
come me voglia farsi una gita fino in cima.
Alla fine è una zona tranquillissima e per famiglie, non siamo sulle rocce a 3500 metri o in mezzo a un ghiacciaio dove
possono sorgere difficoltà a posizionare paline o cartelli.
Poi mi torna di nuovo in mente ciò che avevo letto su questo abitante solitario scortese che, se non ricordo male, si
diceva come volutamente cercasse di depistare chiunque passasse di lì, togliendo cartelli e cancellando le tracce.
Non so se sia vero o meno ma nel mio caso potrebbe anche essere.
Pazzesco, mai sentita una cosa così.
L’inizio di questo tratto che porta verso la Comba di Vercio è piuttosto ripido e il fogliame secco di cui è cosparso il
terreno rende il tutto scivoloso.

Dopo vari tornanti nella faggeta, il sentiero si porta a mezza costa e in esposizione sotto alcune roccette.
La traccia è veramente stretta e il vuoto sotto di me davvero impressionante.
Rifletto un po’ prima di proseguire ma piano piano avanzo, attaccandomi alla roccia con le mani.
A parte la foschia che persiste, da questo punto ci sarebbe un panorama incredibile da gustare, ma io sono concentrato a
mettere i piedi nei punti giusti.
Vietato sbagliare.
Con la coda dell’occhio riesco solo a guardare verso il basso per un istante dove è posto il paese di Ornavasso.
Che altezza!
Fortunatamente superate queste roccette il sentiero rientra nella montagna, e si porta sotto questa forcella che inizio a
vedere dalla mia posizione.
Risalgo quindi a zig-zag l’ultimo pendio con il terreno cosparso di foglie e non vedo più cosa c’è sotto.
Avanzare su questo fogliame in un punto così ripido equivale a camminare con due saponette sotto i piedi.
Nel salire e, ad ogni passo, sposto le foglie per cercare una presa migliore.
Finalmente dopo una mezz’oretta di giardinaggio sono fuori, e raggiungo la Comba di Vercio dove un pannello illustrativo
spiega il disboscamento e il trasporto a valle del legname (importante fonte di reddito), che per anni ha interessato
questa zona.
Un altro cartello invece invita a non dimenticare oltre ai rifiuti anche la fotocamera.
Si vede che molti in questo punto l’hanno abbandonata in passato.
Mi siedo e mi riposo qualche minuto su una roccia, approfittandone per mangiare qualcosa.
In basso un grande panorama, la vallata e la piana del Toce sono visibili ma non chiaramente e solo per un pezzo.
Alle mie spalle invece si estende un vero capolavoro della natura, la selvaggia Val Grande.
Questa è l’area wilderness più estesa d’Italia nella quale è facile perdersi e dove sentieri, rifugi e punti di riferimento non
sono certo numerosi come altrove.
Dal luogo in cui mi trovo vedo alberi (faggi perlopiù) a perdita d’occhio.
Un mare di alberi che coprono anche le cime dei monti più vicini.
Sono a buon punto, e una volta arrivato fin qui mi convinco a proseguire per vedere se riesco a chiudere un anello,
esplorando questi luoghi solitari. 

Non c’è anima viva qui, nessuno mi ha seguito.
Vedo che un sentiero un po’ esposto segue il filo di cresta e raggiunge il Monte Faiè.
Noto in realtà due sentieri tra i faggi e non so quale sia quello corretto o se uno più avanti confluisce nell’altro.
Prendo quello più in basso ma poco dopo finisce nel nulla del bosco, in una distesa di foglie.
Risalgo e mi porto sull’altra pista che scopro essere quella giusta.
Comoda, quasi in piano, taglia le pendici nord del Monte Faiè facendo lo slalom tra le piante.
È una sensazione stranissima e intensa quella che mi pervade mentre cammino.
Essere da solo nel fitto di questo bosco mi incute stupore, pace e armonia, ma allo stesso tempo un po’ di timore con
qualche dubbio che avanza.
Sarò sulla via giusta?
Al termine del bosco riuscirò a ricongiungermi sulla corretta via verso valle?
In ogni caso mi godo questo momento e non vorrei essere da nessun’altra parte.
Sono un tutt’uno con la natura e immerso in un silenzio assoluto.
Presto i timori passano e mi sembra di conoscere perfettamente il terreno anche se non l’ho mai calcato.
Un po’ come un satiro che ha sempre vagato per questi monti.
Il diradarsi degli alberi mi riporta a rimettere mano alla digitale per fissare il ricordo di questi paesaggi.
Verso il Lago Maggiore col Mottarone e verso i monti della Val Grande con alle spalle quelli ancora imbiancati
della Val Vigezzo.
Davvero stupendo.
Poco più avanti sento dei rumori e inizialmente penso a qualche animale.
Invece è un uomo un po’ anziano intento a sistemare questa porzione di sentiero.
Mi trovo infatti nei pressi dell’Alpe Caseracce.
Scambio due parole e spiego a quest’uomo il giro che vorrei fare.
Lui, gentilissimo, si offre di accompagnarmi verso quest’alpe caratterizzata da piccole baite in pietra e muretti a secco.
Non è un classico alpeggio ma un luogo magico, ne rimango subito impressionato.
Tutte queste casette perfettamente ordinate sono adagiate su un bel terrazzino, sull’erba e all’ombra degli alberi.
Questo signore mi spiega che lui viene a vivere qui non appena la neve se ne va, isolato e senza nemmeno l’elettricità.
Il mio stupore non è ancora finito però.
Quando mi conduce poco distante verso il vuoto rimango attonito.
Questo terrazzino si affaccia infatti sull’immensa distesa della Val Grande e da questo punto panoramico posso vedere
uno spettacolo unico che abbraccia una grandissima porzione del territorio.
Un posto così credo non esista anche nel regno più fantastico, ed è con molta fatica che mi costringo a proseguire per l’anello.
La voglia che mi assale di mollare tutto e venire a vivere qui è davvero enorme.
Fuori dalla civiltà, da tutto e da ogni problema che affligge questa società.
Torno in uno spiazzo poco prima delle baite sotto i faggi, e prendo il sentiero in salita verso il Monte Faiè.
Una via più diretta si abbassa e conduce all’Alpe Ompio dove si trova anche il Rifugio Fantoli ma per ora decido di non
prenderla e salire in vetta.
La segnaletica indica che mancano solo venti minuti, ma saranno venti minuti intensi, in salita ripida tra boschi e prati.
Sono in cima, su un bel panettone a poco più di mille metri.
Magicamente trovo un gruppo di cinque persone che non so da dove sia sbucato, visto che i sentieri da me percorsi
erano deserti.
La vista è davvero superlativa anche se la foschia oggi non accenna a dissolversi.
Oltre ai laghi verso la Piana del Toce e ai monti della Val Grande si aprono un po’ anche quelli più alti della Valle Anzasca,
esattamente dritti davanti a me.
Valeva proprio la pena salire fin quassù.
La quota è modesta ma la vista grandiosa.

A metà pomeriggio inizio la discesa dal Monte Faiè, dal lato in cui sono salito fino a ricongiungermi col sentiero che
scende diretto all’Alpe Ompio.
La discesa, all’inizio un po’ ripida e scivolosa nel bosco, diventa poi più facile e dolce.
Percorro una larga dorsale fino a portarmi sopra all’Alpe Ompio che vedo molto più in basso rispetto a me.
Scendo lentamente tra la vegetazione fino a raggiungerla, la supero e passo oltre anche all’Alpe Cainà (posta poco prima
della località “La Croce”) arrivando sulla soglia del Rifugio Fantoli che oggi con rammarico trovo chiuso.
Non incontro nessuno, tranne una coppia di fidanzati intenti a salire al Monte Faiè.
Continuo la mia discesa su una strada ora più larga, delimitata da due muretti in pietra, e seguendo poi
le indicazioni per Vercio.
Prima di arrivare all’asfalto della strada che sale dal fondovalle, svolto a destra per il sentiero che mi ricondurrà
all’Eremo di Vercio.
Questa traversata è piacevole e selvaggia, si dipana tra i boschi di betulle e castagni ed è un continuo saliscendi,
interrotta solo da qualche piccolo guado.
Dopo neanche un’oretta mi ritrovo di nuovo nei pressi della chiesetta dell’Alpe Vercio, dalla quale affronto nuovamente
il percorso che ho fatto all’andata.
Poco sopra Bracchio vedo, come per dispetto, che gran parte della foschia se n’è andata, e così ne approfitto per
scattare qualche foto più nitida e decente al panorama con i laghi di Mergozzo e Maggiore.
Riesco a distinguere meglio anche le isole Borromee, fantastico!
Rientro a Bracchio nel tardo pomeriggio e recupero l’auto.
Non è ancora il momento però di tornare a casa.
Le ultime due ore della giornata le passerò comodamente seduto su una panchina in riva al lago di Mergozzo dove assisto
ad una scena che non avevo mai visto.
Una coppia di cigni nuota verso riva ed esce dal lago poco distante da me, attraversa il lungolago e si incammina per strada.
Non sono spaesati ma hanno una meta ben precisa: il bar.
Ogni giorno è così, mi dicono i proprietari del locale che danno da mangiare a questi splendidi animali che, così docili e
abituati, vanno a spasso noncuranti delle persone e delle auto.
Dopotutto, una tazzina di caffè non si nega a nessuno, nemmeno ai cigni….

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi


Note: un anello molto panoramico lungo la dorsale che divide la Val Grande dalla zona pedemontana coi laghi
Mergozzo e Maggiore.
Il percorso è lungo e faticoso, ma non difficile, con un solo punto esposto sotto la Colma di Vercio in cui prestare attenzione.
In assenza di segnaletica, il sentiero che dall’Eremo di Vercio conduce alla Colma di Vercio, parte alle spalle delle ultime
baite a monte.
Un’escursione consigliata in primavera e in autunno, quando il caldo non è eccessivo.