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Monte Varadega 2.634 m. (Italia – Passo del Mortirolo – Valtellina)
una meta fuori dalle solite rotte che soddisferà i puristi della montagna e degli ambienti isolati, sentiero esposto e stretto…..

monte varadega

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Località di partenza:
Passo del Mortirolo

Quota di partenza: 1.895 m.
Quota di arrivo: 2.634 m. 
Dislivello: 739 m.

Posizione: in Val Varadega, nei pressi del Passo del Mortirolo
Difficoltà: E (EE gli ultimi metri fino in cima) [scala dei livelli di difficoltà]
Ore: 5h 30’ a/r (7h passando dal rifugio Cròs de l’Alp)
Periodo: da giugno a fine settembre
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: per la via di salita
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

Ho scelto questa meta nell’ultimo giorno di vacanza a Grosio in Valtellina.
Una cima solitaria e isolata e tutto sommato non molto distante dal paese dove sono alloggiato.
Questo monte non è famoso al pari di altri, e allo stesso modo è molto meno frequentato.
A dire la verità la parte più difficile non è l’escursione in sé, ma arrivare sul Passo del Mortirolo se si decide
di usare automobile come (erroneamente) ho fatto io.
Mi sono sempre piaciute le strade strette di montagna, i tornanti e anche guidare col meteo avverso, non l’ho
mai trovato difficile, ma questo passo è un po’ un incubo!
Ho sempre desiderato vederlo e salirlo, in fondo è diventato famoso per tutte le competizioni ciclistiche, primo su tutti
il Giro d’Italia che ha consacrato campioni alla storia.
Un conto però è salire in bici, e ben presto mi rendo conto che con una station wagon non è l’idea più geniale.
Se con le due ruote normali, esclusa l’e-bike, la salita da Mazzo di Valtellina è veramente durissima come avevo
sempre visto in televisione, in auto non solo sono costretto a salire in prima o al massimo in seconda, ma anche a
evitare veri e propri proiettili lanciati in discesa a tutta velocità, che ad ogni istante rischiano di arricchire il mio cofano.
La strada è bella, ma strettissima, passa a malapena un’automobile e nei numerosi tornanti tutte le abilità
dell’automobilista vengono messe alla prova.
Ma fin qui tutto normale, sempre meglio che guidare in città.
Oltre a questo però, ciclisti e motociclisti affrontano la discesa e le curve a razzo, curve spesso cieche, dove più volte
ho rischiato di stampare qualcuno sul cofano, pur andando in prima.
L’ideale sarebbe salire quindi con una mountain bike o con una e-bike.
Superata questa salita, oltrepasso anche il Rifugio Antonioli lungo la strada sotto il Passo del Mortirolo e
arrivo in cima, parcheggiando nell’ampio spazio adiacente alla strada, nel punto in cui questa si divide in altri due rami.
Da una parte scende verso l’Aprica (la farò al ritorno e sarà un’altra avventura), e dall’altra a Monno in Val Camonica.

E’ una bella giornata di sole e qui in cima al passo c’è una gran folla di ciclisti che si riposano dopo le fatiche affrontate.
Uno striscione sul ciglio della strada recita: “dopo tanta fatica, la salita è finita”, grande!
Mi incammino lungo la statale in discesa verso Monno e lascio sulla destra l’Agriturismo Malga Mortirolo,
già preso d’assalto da un buon numero di persone.
Poco oltre, sul lato opposto della strada, prima di arrivare all’albergo Passo Mortirolo, parte una carrozzabile
asfaltata che imbocco.
Questa stradina rimane asfaltata e prosegue su questi versanti collegando varie frazioni.
Volendo si può salire in auto fin sotto alla Malga Varadega dove però i posti auto sono veramente pochi.
A piedi e su asfalto sono circa quattro chilometri prima di prendere il sentiero che entra in Valle Varadega.
Non brevissimo questo tratto e anche monotono, ma almeno sono all’ombra degli abeti e non ho il pensiero dove
parcheggiare l’auto.
In corrispondenza di un’ampia curva della strada, dov’è collocata anche la segnaletica, mi incammino per la
Valle Varadega e il monte omonimo.
Il bosco termina e davanti a me si vedono due cime minori ma comunque interessanti, il Monte del Calore e
il Monte Resverde.
Due eventuali salite su pendii erbosi non difficili.
Alle mie spalle spicca invece la Cima Verde che domina il Passo del Mortirolo.
Bellissimi versanti pieni di boschi e pascoli.
Peccato solo per i vistosi fili dell’alta tensione che stonano nettamente con questo ambiente.
Cammino su un tratto sterrato molto largo e comodo, che piano piano mi fa prendere quota verso il Monte Varadega,
il quale, dopo le prime svolte, compare in fondo alla Valle.
La prima destinazione è il Passo di Varadega, ma per raggiungerlo c’è ancora un po’ di strada.
Man mano che salgo, rimango incantato dalla vista incredibile sulla Valtellina dove si distinguono nettamente i
paesi più vicini in linea d’aria, Tirano su tutti.
E poi che vista spettacolare sulle Orobie Valtellinesi, sui monti che circondano Bormio e sul Bernina.

Seguendo la comoda traccia, rimonto a tornanti fin sul passo dove di queste vedute faccio il pieno e
mi fermo in contemplazione.
Qui il paesaggio cambia radicalmente, pietre e rocce prendono il posto dell’erba verde.
La traccia prosegue in salita e aggira alle spalle il Monte Varadega.
Avanzo su un sentiero ancora abbastanza largo fatto di piccole roccette.
Il sole splende in cielo e, nonostante sia a più di duemila metri, il caldo si fa sentire.
Vedo l’arrivo lassù sulle rocce ma da qui l’accesso sembra precluso.
Come si farà a superare quella bastionata rocciosa?
Dal basso sembra tutto sempre difficile e apparentemente non si vedono vie di salita tra tutta quella roccia.
Continuo a salire fino a portarmi su un sentiero più stretto che taglia a mezza costa la montagna.
Arrivo ad un bivio con chiare indicazioni sotto enormi massi.
Sulla destra parte la salita al Varadega, mentre dalla parte opposta si scende verso Grosio per un
percorso molto più lungo.
Inizio a salire in un paesaggio lunare fatto di sola roccia ormai e per i primi metri il sentiero è ancora agevole.
Pietre, pietre ovunque e un panorama da favola sulle valli sottostanti.
Il tempo è bellissimo e, non essendoci nessuno, ho tutta questa montagna per me.
Laggiù in fondo vedo tutto il mio percorso di salita.
Quanta strada ho già fatto, non sembra vero.
Poco più avanti il sentiero si stringe e diventa molto esposto.
Cammino quasi con un piede davanti all’altro tra i ciuffi d’erba e rocce, facendo attenzione.
Aggirato un costone roccioso con un gendarme che sfida ogni legge della fisica, vedo gli ultimi metri che
portano ad una sella.
Già perché il Monte Varadega si compone di due cime.
Questo tratto è molto esposto e devo procedere con cautela.
Raggiungo la selletta e mi fermo un attimo dietro un piccolo muretto a secco per rifocillarmi e recuperare energie.
Osservando il terreno, trovo conferma che anche numerose capre hanno deciso per la mia stessa strategia.
Prima di salire sulla cima est (la meno alta dove è posta la croce), faccio una puntata sotto la cima ovest e
dopo qualche gradino quasi nel vuoto, arrivo ad una galleria di guerra dove dalla feritoia scorgo un
bel panorama sul fondovalle.
In teoria si potrebbe uscire dalla “finestrella” e per un sentiero un po’ nel vuoto arrampicare fino in cima.
Decido di lasciare la cosa ai più abili, il vuoto che si prova già da qui è veramente notevole.
Tornato alla sella prendo a districarmi tra qualche enorme masso facendo attenzione a non smuoverne
neanche uno, e arrivo in cima.

Provo un senso di altezza e vertigine incredibile, mi sembra di volare.
Da qui sarebbe veramente magico poter spiccare il volo e scendere a valle dopo aver fatto il periplo di queste cime,
si vincerebbero anche tutti i timori del vuoto.
Da quassù si vede tutta la Valtellina, il Bernina, la conca di Bormio e più lontano i monti di Livigno e dell’Engadina.
Un posto da favola fuori da tutte le rotte dove fermarsi a contemplare le bellezze della natura che abbiamo.
Il tempo per stare quassù non è mai abbastanza e in breve viene l’ora di scendere.
Con molta cautela ripercorro a ritroso la via di salita fino al bivio sottostante, incontrando le prime due persone
della giornata intente a salire.
Anziché tornare subito verso il Passo del Mortirolo, decido di allungare il giro e fare una capatina verso il
versante di Grosio, dove l’indicazione mi segnala la presenza del Rifugio Cròs de l’Alp.
Un rifugio?
Bellissimo, mi involo subito!
Durante questa facile e non troppo lunga discesa su bella traccia, mi appaiono nel fondovalle anche i paesi di
Grosio e Grosotto, mentre alle loro spalle si snoda tutta la magnifica Val Grosina.
Un tratto non troppo aereo ed estremamente panoramico.
Dopo altre gimcane sulla pietraia percorro i tornanti fra erba e arbusti che mi accompagnano fino al rifugio.
Arrivo sul terrazzino dove è adagiata la struttura e alcune panchine di legno.
E qui delusione!
Questo rifugio, nel bel mezzo del nulla, sul pendio assolato di questo monte, sembra deserto e abbandonato da tempo.
La forma è quella di una vecchia baita o un vecchio alpeggio con un ampio pergolato davanti all’edifico di cui
rimangono solo travi di legno.
Non ho capito se qualcuno viene ad aprirlo nei weekend o se non viene più aperto.
Certamente, non ha la fama di altri rifugi più blasonati, non ci sono cime difficili da scalare ne laghetti nei dintorni,
ma la posizione è carina e con un bel panorama sulla Valtellina.
Un peccato.
Anch’io qua sono solo, non vi è anima viva e per lunghi istanti rimango con lo sguardo fisso sul fondovalle
senza accorgermi del tempo che passa.
Osservando la cartina noto che senza tornare sui miei passi fino al Colle di Varadega, un sentiero si sviluppa per
boschi partendo alla sinistra del rifugio e arriva nello stesso punto.
Decido di compiere questo piccolo anello, almeno fino al colle e mi incammino.

Il sentiero è strettissimo e un po’ esposto nella prima parte, inoltre si vede che non è per nulla frequentato.
Anzi, sta quasi scomparendo inghiottito dalla vegetazione.
Anche questo è un peccato perché questa risalita nonostante tutto l’ho trovata bellissima, immersa nella natura
selvaggia ricca di felci, arbusti e pini mughi.
Dopo circa un’oretta mi ricongiungo in cima sul sentiero percorso alla mattina e da qui mi riporto verso valle.
Lungo la carrareccia ora c’è qualche famiglia coi bambini intenta a fare due passi o a riposarsi sui prati sotto il sole.
Giunto all’inizio dell’asfalto, una coppia abbastanza provata, mi chiede se nei dintorni ci sia qualche posto per mangiare.
Li guardo un po’ incuriosito, sono le quattro del pomeriggio e siamo in mezzo ai pascoli e agli alpeggi.
Qui non c’è nulla, dico loro, a meno di non tornare sul Mortirolo lungo i quattro chilometri che mi accingo a ripercorrere.
Non so che giro abbiano fatto, ma erano alquanto stanchi e di certo affamati.
Dopo aver percorso i sentieri lassù e aver visto panorami meravigliosi, quest’ultimo tratto su asfalto sembra non finire più.
Sicuramente la parte noiosa dell’intera gita.
Tornato sulla statale nei pressi dell’agriturismo mi sembra di essere tornato in città.
Macchine parcheggiate dappertutto e nei posti più impensabili con la gente che prende d’assalto la struttura, in fila per
mangiare o per comprare qualcosa.
Benissimo per il locale, ma questo concentrare l’assalto alla montagna solo in un determinato orario e solo per farsi
una mangiata non vuol dire frequentarla e viverla.
Anche il passo non è messo meglio, il parcheggio ora è imballato, e ai ciclisti si è aggiunto un folto gruppo di
motociclisti che tengono le moto accese.
Caos e rumore, due cose che proprio non mi mancavano.
E’ in questi momenti che vorrei voltarmi e tornare lassù di corsa.
Risalito in auto decido di scendere verso l’Aprica passando da Trivigno.
Non so come mai, ma ho una mezza convinzione che la strada sia più agevole e larga.
Errore!
Ben presto scopro che questa statale è meno impervia e con meno tornanti, ma stretta allo stesso modo e
dannatamente più lunga.
Inoltre, incontro numerosi bivi senza indicazioni che mi portano almeno due volte a sbagliare direzione.
Ci metto quasi due ore a raggiungere Trivigno, pazzesco.
Nel frattempo, il cielo ha fatto in tempo a tingersi di nero e sulla Valtellina vedo che inizia a piovere.
Solo per puro caso imbocco all’ennesima svolta la strada giusta e arrivo a Trivigno, poche case e ampi spazi
caratterizzati da prati e pascoli.
Un luogo incantevole che ora non posso fermarmi a scoprire.
A Trivigno un’indicazione mi porta a deviare direttamente verso Grosio e la Valtellina senza passare dall’Aprica.
Per un attimo mi illudo di essere quasi arrivato facendo chissà quale scorciatoia.
Altro errore.
Mi ritrovo invece su di un’altra strada a tornanti, strettissima e infinita.
Solo a sera raggiungo il paese e ubriaco da tutti questi tornanti ho le visioni.
Vedo la folla che mi incita a tagliare con l’auto la linea del traguardo, con una persona ad un balcone che sventola la
bandiera a scacchi.
Qualcuno mi dà una spinta sul bagagliaio mentre io viaggio in prima.
Mi riprometto solennemente che la prossima volta la salita fino al passo la farò senz’altro in bicicletta!

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi


Note:
una delle ultime cime che dalla dorsale del Gavia si estendono sino al Passo del Mortirolo. in un
ambiente bellissimo e solitario.
Grandioso il panorama sulla Valtellina, sul Bernina e sui monti della Val Grosina.
Una meta fuori dalle solite rotte che soddisferà i puristi della montagna e degli ambienti isolati.
Attenzione all’ultima parte della salita sotto la cima.
Il sentiero è molto esposto e stretto, e gli ultimi metri fino alla croce di vetta si svolgono in leggera arrampicata tra
grossi massi a volte instabili.