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Rifugio Città di Vigevano 2.863 m. – Rifugio Guglielmina 2.863 m.
– Col D’Olen 2.896 m.

(Italia – Valle di Gressoney)
trekking molto facile al lago artificiale del Gabiet e che dall’omonimo rifugio si spinge a quasi 3.000 metri lungo le
pendici del Monte Rosa per toccare due rifugi storici che anni fa rappresentavano un sicuro punto di arrivo e partenza
per tutti gli escursionisti che frequentavano queste zone

rifugio citta di vigevano


Località di partenza:
Staffal, Valle di Gressoney

Quota di partenza: 1.840 m.
Quota di arrivo: 2.896 m.
Dislivello: 655 mt. (dislivello positivo da Staffal al Rifugio Gabiet e dal Passo dei Salati al Col d’Olen a/r)
Posizione: i rifugi si trovano a est del Col d’Olen, tra la valle di Alagna e quella di Gressoney, lungo le pendici del
Monte Rosa e non lontani dal Passo dei Salati

Difficoltà: E [scala di livelli di difficoltà]
Ore: 2h 45’ (solo andata, ritorno con gli impianti)
Periodo: da metà giugno a fine settembre
Attrezzatura richiesta: classica da trekking
Discesa: per la via di salita
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

Succede quando sei proprio piccolo.
“I bambini hanno bisogno di cambiare aria, di respirare bene” diceva la pediatra: “porti suo figlio al mare o in
montagna che c’è un clima migliore”.
Ti portano quindi in riviera per molti anni, ti piace e ci ritorni sempre volentieri.
Mare, spiaggia, sole e relax con tutte le comodità.
E gente, una marea.
C’è qualcosa però che suona strano.
Poi capita che in un altro periodo dell’estate ti portano anche qualche giorno in montagna.
Grandi spazi aperti, vallate bucoliche, corse per i prati e foto con mucche e asinelli a non finire.
Ti diverti, corri su e giù a perdifiato.
Corri per il bosco o magari in riva ad un laghetto che, immobile, restituisce il profilo inconfondibile di uno dei
monti più famosi.
Bellissimo, stupendo, rimani ipnotizzato.
E poi?
E poi arriva l’inverno, al mare non vai.
Torni su, a vedere la neve, metti per la prima volta gli sci, sprofondi nel soffice manto bianco e ti lanci in lunghe scivolate.
Intanto cresci, torni al mare, e mentre sei in acqua lo sguardo è puntato verso l’alto, verso la vetta di quel profilo di
cime che corre appena sopra le case per tutta la riviera.
Non sai come si chiamano quei monti, ma ti piacerebbe passeggiare sul filo di cresta.
Quando arriva di nuovo il turno della montagna, inizi a chiederti perchè non sei stato qui più spesso.
E lì è finita, lo capisci subito.
La molla è scattata, e il cuore d’ora in avanti dovrà imparare ad aumentare i giri.
Perché è proprio in questi posti che ti recherai sempre più spesso, posti che non lascerai più.
È stato questo il percorso che mi ha permesso di avvicinarmi sempre di più ai monti, alla fatica, e alla magnifica
sensazione di benessere che provo quando sono lassù.
“Brutta bestia la montagna, va a finire che se ti prende ne rimani stregato”.
Questa frase, da intendersi ovviamente in senso positivo, mi riecheggia ancora nella testa.
Frase che proprio quando ero piccolo qualcuno mi aveva detto lungo un sentiero delle Dolomiti.
Ed è proprio vero, sono rimasto stregato, folgorato e da allora non l’ho più lasciata.
Crescendo ho iniziato ad essere indipendente, a muovermi in autonomia sui sentieri, percorrendo sempre più
chilometri e non tornando se non dopo svariate ore di marcia.
Proprio nel periodo delle prime camminate e al colmo dell’entusiasmo ho coinvolto Marco, mio carissimo amico
di lunga data, per una gita, un’avventura in una delle valli più belle della Val d’Aosta, quella di Gressoney.
Non sapevamo ancora che questa sarebbe stata un’escursione storica e unica, in quanto i rifugi da noi raggiunti ora,
non esistono più.
Questo luogo nei pressi del Col d’Olen, una volta molto frequentato, è ora tristemente abbandonato un po’
a sé stesso e dimenticato.

Passo a prendere Marco all’alba in una giornata di agosto e insieme ci dirigiamo verso i monti.
È una bella giornata, siamo carichi al massimo e i nostri zaini sono pronti.
Speriamo solo di non aver dimenticato nulla.
Superiamo i paesi di Gressoney Saint-Jean e La Trinitè e parcheggiamo nella frazione di Staffal dove
anche la valle termina.
Scendiamo dall’auto fingendoci veri montanari, (il cuore lo è, il nostro abbigliamento un po’ meno) e col morale alle stelle.
Stiamo per salire lungo i fianchi del Monte Rosa, mica un monte qualunque.
Ecco, ci manca forse un po’ di esperienza e qualche conoscenza in più, a partire appunto dall’abbigliamento (jeans,
canottiera e maglietta classica).
Ma che importa?
Importa invece ciò che ci lega, l’amicizia, la montagna, il contatto con la natura e la prospettiva di una giornata entusiasmante. Insomma, passare una giornata alla grandissima, senza stress e nel posto che vogliamo.
Dopo qualche minuto, passato a girare a vuoto nel parcheggio, cercando di capire dove sia la via giusta (cartine e
internet per noi erano in là a venire), iniziamo a salire qualche gradino intagliato nel prato, fino a trovarci su di una
larga mulattiera, la strada Moos, per noi semplicemente “la strada che sale”.
Nemmeno il tempo di esultare, che lo sconforto ci assale buttando in alto gli occhi.
Non si vede nulla, peggio che a Milano in autunno.
La nebbia avvolge tutto e noi, pronti con le macchine fotografiche (la mia ancora col rullino!) ci guardiamo sbigottiti.
Dove siamo finiti?
Non demordiamo e insistiamo seguendo questa strada, fiduciosi che da qualche parte porterà.
La visibilità è davvero pessima, ma almeno stando qua sopra non ci perderemo, (e per essere una delle prime
escursioni è già un gran risultato).
Passiamo poco sotto ad una grande struttura con le persiane colorate di rosso e di bianco, continuiamo prima
a sinistra, e poi a destra, tagliando immensi prati fioriti finché scorgiamo il muraglione di una diga.
Forse ci siamo, potrebbe essere quella del Lago Gabiet.
Vagando nel nulla ancora per un po’, arriviamo al Rifugio Gabiet, proprio quello con le persiane colorate
avvistato più in basso!
Per un attimo la nebbia viene richiamata altrove, e noi ne approfittiamo per fare qualche foto nella zona.
Avanziamo ancora fino a raggiungere la diga del Lago Gabiet dopo pochi minuti.
Finalmente una timida luce illumina il Monte Rosa che si mostra in tutto il suo splendore.
La Piramide Vincent, i Lyskamm, i ghiacciai Garstelet e Lys sono lì, magnifici, anche se noi questi nomi li
impareremo molto tempo dopo.
Al momento siamo davanti ad uno degli spettacoli più belli che la natura ci offre.
Il fatto di contemplare tutto questo da soli, (non c’è in giro altra anima viva), ci fa sentire come i primi esploratori
di un mondo fantastico.

Nelle acque del lago si rispecchia il crinale di cime soprastante con suggestivi giochi di luci e ombre, almeno
fino a quando le nubi non ricoprono nuovamente la superficie.
Al termine del lago, la diga e la casa dei guardiani, di un giallo intenso come un faro.
Questo bacino artificiale è stato costruito agli inizi degli anni ’20 del 1900 ed alimenta la centrale idroelettrica
di Gressoney-La-Trinitè.
Il livello delle sue acque non è certo quello attuale, oggi ad un livello decisamente inferiore e in parecchi
punti addirittura mancante.
Dove allora c’era l’acqua, oggi si potrebbe tranquillamente passeggiare, segno anche qui di un impoverimento
generale dovuto ai cambiamenti climatici.
Torniamo verso il Rifugio Gabiet decidendo il da farsi.
Vorremmo salire ancora, ma con un tempo simile rinunciamo ai piedi come mezzo di locomozione.
Tra l’altro inizia a scendere qualche goccia.
Saliamo quindi sull’impianto Gabiet-Salati, che in pochi minuti ci deposita all’omonimo passo, dopo aver
attraversato una consistente fascia di nubi basse.
A 2.931 metri non c’è nebbia, incredibile, ma il cielo è più nero che mai.
Non volevamo l’avventura?
La statua in ferro di uno stambecco infisso ad una roccia è emblematica.
L’animale sconsolato sembra guardare il cielo verso il fondovalle, pensando probabilmente cosa ci facciano
qui gli unici esseri umani con un tempo simile.
Non piove più e, paradossalmente, essendo più alti della maggior parte delle nubi, riusciamo a vedere anche qualcosa.
Rilievi emergono dal tappeto di nubi qua e là verso le valli di Gressoney e Alagna.
Non ne conosciamo i nomi, ma lo spettacolo è comunque davvero suggestivo.
Non ci era mai capitato di vedere un simile fenomeno.
Qualche metro più in basso rispetto al Passo dei Salati, un largo sentiero passa ad est sotto le pendici del
Corno del Camoscio, dirigendosi verso i rifugi Guglielmina e Vigevano.
Propongo di raggiungerli e di esplorare la zona e Marco non solo accetta, ma accenna anche ad un possibile
pranzetto al rifugio.
Basta uno sguardo per intendere che i panini oggi resteranno nello zaino.
Passiamo accanto al piccolo laghetto di Cimalegna adiacente all’Istituto Scientifico Angelo Mosso, ora in ristrutturazione
e, dopo una curva, si palesano i due rifugi.
Uno accanto all’altro, sembrano due sentinelle immobili, grandi edifici che presidiano la zona.
Questa foto, oggi irripetibile, rimarrà un ricordo stupendo.
I due rifugi oggi sono deserti, tanto che quando entriamo i proprietari ci guardano come se fossimo due alieni.
In una giornata così, nella quale tutti hanno disertato, non si aspettavano certo di avere due escursionisti.

Scegliamo per pranzo di fermarci al Rifugio Guglielmina nel quale tutte le attenzioni al tavolo sono per noi.
La proprietaria, gentilissima, si intrattiene volentieri mentre pranziamo, raccontandoci un po’ del rifugio, della montagna
e qualche aneddoto legato soprattutto all’improvvisazione dell’andare sui monti di molta gente, davvero sprovveduta.
Tanto che una sera lei stessa era dovuta uscire per andare a cercare un paio di persone che si erano perse
(probabilmente senza cartine), e che pur vedendo le luci del rifugio non riuscivano a rientrare.
Al termine del pranzo stiamo per alzarci dal tavolo, quando vediamo la signora compiere un gesto che ci fa
rimanere increduli.
Prende ogni posata, piatto e altre cianfrusaglie e getta tutto nella stufa!
Il motivo c’è.
Tutti questi oggetti sono monouso, in legno biodegradabile, ecologico e proveniente da foreste gestite in modo
responsabile e sostenibile.
La signora è avanti anni luce.

All’esterno il tempo è ancora da brividi, spettrale.
Non piove ma la nebbia insiste su queste montagne, azzerando quasi la visibilità.
Sulla pianura si stende una vasta coltre nuvolosa, tanto che se fosse solida si potrebbe camminarci sopra a piacimento.
Prima di tornare verso il Passo dei Salati, anche per smaltire le porzioni super abbondanti che ci sono state servite,
ci incamminiamo ancora un po’ lungo il sentiero che prosegue fino al Col d’Olen che raggiungiamo dopo pochi minuti.
Non si vede nulla ed è già molto che ci scorgiamo a vicenda per fare qualche foto almeno tra le rocce.
Davvero un peccato perché da quassù il panorama è certamente da favola.

Torniamo verso casa fermandoci anche ai piccoli laghetti di Cimalegna, nei pressi dei rifugi.
Silenzio, pace e tranquillità in un luogo che nonostante tutto siamo molto restii a lasciare.
Salutiamo i due rifugi un’ultima volta prima di svoltare l’angolo e rituffarci tra le nubi del passo.
E senza pensare che da lì a pochi anni gli stessi rifugi non esisteranno più.
Dismesso e abbandonato il Vigevano (forse lo adibiranno ad altri scopi), distrutto da un terribile incendio nel 2011
il Guglielmina, dove i proprietari hanno manifestato la volontà di non ricostruirlo.
Ripresa la vecchia cabinovia, (oggi sostituita da un impianto molto più all’avanguardia), arriviamo a Staffal di
pomeriggio con nubi sempre nere e minacciose che alla fine però sono state benevole con noi e ci hanno regalato
una giornata con poco panorama, è vero, ma ricca, intensa e piena di emozioni.
Torniamo verso casa più arricchiti dentro e dopo l’esperienza in rifugio, consapevoli che non servono tutti i vizi o le
comodità di cui siamo soliti circondarci o abusare per essere felici.
Bastano poche cose, semplici e spontanee, tra cui al primo posto metterei la nostra amicizia e l’amore per
la montagna e la natura.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi e Marco Arioli
Un ringraziamento particolare a: Marco Arioli


Note:
trekking molto facile al lago artificiale del Gabiet e che dall’omonimo rifugio si spinge a quasi 3.000 metri lungo le
pendici del Monte Rosa, per toccare due rifugi storici che anni fa rappresentavano un sicuro punto di arrivo e partenza
per tutti gli escursionisti che frequentavano queste zone.
La salita da Staffal al Lago Gabiet avviene su una comoda e larga strada sterrata, mentre il tratto che dai Salati
porta al Col d’Olen passando dai due rifugi, è prima in leggera discesa su banale sentiero e poi in lieve salita.
Gli impianti a fune consentono di spostarsi liberamente da una zona all’altra, (l’eventuale salita a piedi Gabiet-Salati
comporta altri 556 m. di dislivello e 2h 15’ di marcia).