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Val Codera: l’unica valle alpina, senza una strada

Entrare in Val Codera significa affacciarsi su un mondo a sé stante, un regno antico giunto fino a noi ancora intatto.
Questa oggi è una delle più belle e apprezzate valli della provincia di Sondrio e i fattori che la rendono così unica sono,
oltre allo scorrere lento del tempo, il fatto che qui non ci sono collegamenti stradali con il fondovalle.
Piccole frazioni sono dislocate un po’ lungo tutta la valle e le più importanti sono Codera, Avedée, San Giorgio
e Bresciadega.
Visitarle tutte, così come percorrere tutta la valle richiede tempo, molto tempo, che si allunga inesorabilmente man
mano che si sale.
Basti pensare che il Bivacco Pedroni-Del Prà, a 2.600 metri di quota, dista ben otto ore dal parcheggio più vicino.
E’ certamente una valle che offre numerosi itinerari escursionistici, bellissimi giri ad anello, salite alpinistiche (Monte Gruf,
Sas Becchè, Cima di Codera solo per citarne alcune) e borghi sospesi nel tempo.
Una valle selvaggia, isolata e lunghissima, una valle per molti, ma non per tutti.
Gli escursionisti che intendono percorrerla devono innanzitutto attenersi ad alcune regole, impresse in un cartello
all’inizio del percorso a Mezzolpiano e all’ingresso dell’abitato di Codera.
– Tranne i principali sentieri di accesso e l’alveo del torrente, tutta la valle è di proprietà consortile o privata
– Non accendere fuochi
– Non disturbate e non attirate a voi il bestiame al pascolo
– Tenete i cani al guinzaglio
– Non entrate nei prati da sfalcio
– Non campeggiate senza il previo accordo del proprietario del fondo
La raccolta delle castagne è consentita dietro autorizzazione dei proprietari delle piante
Regole un po’ strane al giorno d’oggi che magari ci fanno sorridere o storcere un po’ il naso, almeno alcune.
Tra le righe si possono avvertire alcuni malumori tra la popolazione locale, molto gelosa della sua terra, e un turismo
più easy tipico di altre zone montane.
Per cercare di capire meglio queste regole, bisogna tener conto che, come dimostrano alcuni documenti notarili ritrovati,
tutta la Val Codera fino al 1300 circa era parte di un feudo e come tale vi erano compresi alberi e animali.
I valligiani avevano un usufrutto in cambio del pagamento di affitti sotto forma di prodotti del raccolto come legna,
moneta o caccia.
Già allora i pascoli erano utilizzati e veniva praticato l’allevamento del bestiame, soprattutto capre, animali che ben si
adattavano a questi versanti impervi.
Inoltre, almeno fino al 1700, al posto dell’attuale sentiero intagliato nella roccia, ce n’era un altro molto più ripido che
limitava lo scambio da, e verso valle dei prodotti della terra, della legna e del bestiame.
Come detto, anche oggi qui le auto non arrivano, e per vedere questi posti tocca per forza mettere in moto le gambe
e affrontare un po’ di dislivello che si vince lungo un sentiero più comodo.
Questo fatto, se da un lato ha certamente impedito qualsiasi sviluppo economico, dall’altro ha preservato la bellezza di
questa valle, e portato alla nostra conoscenza i mestieri più antichi che qui, in base all’andamento delle stagioni e dello
sfruttamento delle risorse del territorio, venivano svolti con fatica e passione.
Al riguardo, come testimonianza, a Codera si possono visitare due musei, quello della pastorizia e della lavorazione del
granito e quello di geologia e civiltà del castagno.
All’interno di queste minuscole salette, gli attrezzi di una volta impiegati nei vari mestieri e alcune rocce e minerali.
Il lavoro svolto da queste persone e tramandato di generazione in generazione è ancora oggi sotto gli occhi di tutti.

sentiero del tracciolino val codera

Gli abitanti hanno addomesticato pendii impervi con terrazzamenti, al fine di renderli adatti a vari tipi di coltivazione
con i quali sostentarsi.
Campi, vasti prati e muretti a secco sono visibili ovunque.
Qui venivano coltivati segale, orzo, patate, granoturco e, per quanto riguarda il vestiario, lino e canapa.
Importantissimi erano anche i castagni, un tempo meglio curati anche se oggi, dopo un periodo di abbandono, sta
prendendo piede una forma di rivalutazione del prodotto (dalle castagne si produce una gustosa marmellata).
I pascoli erano invece frequentati dalle mucche da latte e da questo prezioso nutrimento si ricavavano burro e formaggi
che venivano accantonati per i mesi più rigidi, così come il foraggio che, quando non bastava veniva trasportato
dalla Piana di Chiavenna.
La caccia era un’altra fiorente attività di sussistenza.
In particolare si cacciava l’aquila, (pratica oggi vietatissima), mediante una tagliola con un’esca di carne.
Più che altro una persecuzione verso questo bellissimo rapace che non era tollerato dagli abitanti.
Si credeva infatti che l’aquila decimasse le greggi uccidendo i capretti rimasti isolati magari dopo una tempesta e così
si tentava di salvare il salvabile per sopravvivere.
Gli abitanti vivevano in povertà con un’economia di autosussistenza.
Perfino i materiali per le abitazioni, lego e granito in primo luogo, provenivano dai dintorni.
Le cave, inizialmente situate solo nel fondovalle, pian piano si estesero anche ad altri luoghi della Val Codera,
salendo anche più in quota.
Il granito era il vero oro quassù, e con esso si faceva di tutto: muri, gradini, davanzali, ballatoi, panche, tavoli, mangiatoie
e tetti (le cosiddette “piode”, lastre di pietra sovrapposte a formare le tegole).
Quello che avanzava veniva trasportato verso il basso mediante teleferiche a contrappeso.
Una testimonianza dell’attività delle cave si può incontrare lungo il sentiero che porta ad Avedée.
Una ruspa, la cui benna è ormai stata inglobata in un tronco di una betulla.
Il legno serviva per il resto, solai, travi per i tetti, porte, finestre e utensili.
Siccome lo spazio era poco, le case si sviluppavano in altezza con anche tre o quattro piani.
Questi lavori, utili ma pesanti, portavano in sé anche qualche conseguenza.
Chi lavorava nelle cave di granito all’aperto, ad esempio, era spesso afflitto da acciacchi dovuti a condizioni climatiche
a volte insopportabili e da infortuni agli arti più o meno gravi, oltre alla silicosi, una grave malattia respiratoria causata
dall’inalazione della polvere respirata nel luogo di lavoro per un’intera vita lavorativa.
Tuttavia, almeno fino alla fine del 1800, vivere in alto nella valle comportava una qualità della vita migliore rispetto a chi
abitava il fondovalle, infestato dalla malaria e soggetto a frequenti incursioni armate di diverse truppe impegnate in
qualche guerra per il controllo di queste valli.
Ecco perché la maggior parte della popolazione non voleva scendere.
Anzi, tra il 1500 e il 1800, periodo di dominazione dei Grigioni, proprio Codera era la frazione che aveva il maggior
numero di abitanti.

sentiero del tracciolino

Per la sua posizione strategica e defilata, la Val Codera, nel corso della storia, rappresentò spesso un crocevia
importante di uomini in armi e un rifugio sicuro anche per coloro che erano ricercati o perseguitati.
I momenti più difficili si ebbero durante la Seconda Guerra mondiale, in particolare tra il novembre e il dicembre del 1944,
quando bande partigiane, (una su tutte, la 55° Brigata Fratelli Rosselli), espatriarono in altre valli e altre zone attraverso
la bocchetta della Teggiola o per altri sentieri nei dintorni.
L’esodo era obbligato dato che i rastrellamenti nazifascisti distruggevano e bruciavano ogni cosa, (rifugi e alpeggi), e
bloccavano le principali vie di accesso.
Le perdite umane furono altissime e coloro che non cadevano nelle mani del nemico venivano sorpresi dal freddo e
dallo sfinimento.
Qualcuno tentò la fuga lungo il percorso del Tracciolino, allora non transennato, cadendo nel vuoto nel buio della notte.
Gli inseguitori arrivarono fino al Rifugio Brasca dove ingaggiarono una sparatoria contro un unico partigiano che si
trovava nella retrovia della Brigata Rosselli.
Gli altri, colti anch’essi di sorpresa, riuscirono a fuggire.
Per quanto riguarda la popolazione, nel 1933 Codera registrava ancora 500 abitanti.
Poi, dopo il secondo conflitto mondiale, gli abitanti scesero sempre più.
Attorno al 1970 Codera aveva ancora un parroco, una scuola e un oratorio.
Negli anni ’80 il loro numero era ridotto a 21, destinato a calare fino alle attuali 6 persone di oggi.
A differenza delle altre frazioni (San Giorgio, Cii, Cola ed Avedée), Codera però non è mai stato disabitato.
La gente locale oggi ha ristrutturato molte case e ogni tanto torna per qualche settimana o mese quassù.
Per rendersi conto dell’ordine, della disposizione di queste case tipiche e per ammirare tutti i lavori fatti in passato, una
visita a Codera è d’obbligo.
Le case in pietra sono proprio quelle di una volta e tutte curate e senza nulla fuori posto.
Ordine che si può notare anche nelle piccole viuzze di acciottolato, nei campi e nei pascoli.
Ma com’era la giornata tipica per un giovane abitante di Codera?
Per alcuni, appena svegli, c’era la messa, qualche operazione in stalla e poi la scuola.
Il pomeriggio veniva impiegato per andare a cercare della legna o badare alle mucche al pascolo, quando non si doveva
andare a recuperare qualche capra dispersa sulle rocce.
Alcuni giorni specifici erano dedicati al trasporto verso il fondovalle dei pochi prodotti che si producevano e che
avanzavano, il tutto per procurarsi qualche soldo col quale comprare altri generi di prima necessità, anche se il baratto
era spesso la miglior forma di scambio.
Qualcuno contrabbandava anche qualche genere con la vicina Bregaglia svizzera, spesso compiendo tragitti tortuosi e più
lunghi per non essere sorpreso dai finanzieri.
Per non parlare di chi si metteva in cammino di notte e nelle stagioni più ostiche.
Inizialmente il contrabbando era inteso come uno scambio di beni per uso personale (caffè, tabacco, zucchero) ma poi si
trasformò in una vera e propria compravendita dalla quale dipendeva questa gente.
L’alternativa, per sopravvivere, era l’emigrazione.
Gli spalloni, così si chiamavano, portavano fino a 20-30 kg di peso in rudimentali sacchi di iuta provvisti di spallacci.
E per quanto riguarda l’escursionismo o l’alpinismo?
Queste due attività non erano ancora nate, almeno non come le intendiamo oggi.
Certamente le montagne erano vissute e frequentate, ma se la gente del posto non aveva un motivo più che valido per
spingersi fin su una cima, non si muoveva.
Al giorno d’oggi, al contrario, è proprio il turismo a farla da padrone in questi borghi.
Sono sempre di più le persone che, attratte dalle bellezze naturali del posto, dai numerosi sentieri (su tutti il Tracciolino) e
dalle possibilità di vitto e alloggio, rimontano ogni giorno quegli 800 – 900 metri di dislivello necessari per arrivare fin qui.
In Val Codera, infatti, si trovano non solo i rifugi Bresciadega e Brasca all’alpe Coeder, ma anche, nell’omonimo borgo,
La Locanda e l’Osteria Alpina che offrono piatti tipici del luogo, ottima ospitalità e l’essenza del rifugio di una volta.
Una passeggiata a Codera consente di ritrovare le tracce del passato nell’edificio del vecchio Oratorio, nella Chiesa
Parrocchiale col campanile isolato o nel cimitero.
San Giorgio invece è un nucleo posto su uno straordinario balcone panoramico, al culmine della Val Codera, tra la
Val de Revelàs e la Val de Munt.
A guardarlo dall’alto questo piccolo borgo sorge su un promontorio erboso sospeso nel vuoto.
Se al posto delle case ci fossero delle rovine, lo si scambierebbe per un piccolo Machu Picchu in quanto la
prospettiva è quella.
Qui sono state trovate le prime testimonianze umane della valle, e il cimitero con la piccola cripta naturale al di sotto di
un enorme macigno, (Sagrato dei Pagani), è un esempio di quel che resta dei tempi antichi.
Anche la prima chiesa della valle dedicata a Sant’Eufemia venne edificata qui, intorno al 1100, e oggi ne restano alcune
tracce all’interno dell’attuale chiesa (dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria).
Il piccolo museo presente anche qui conserva i segni di questo importante passato.
Avedée la si attraversa per arrivare a Codera e consta anch’essa di un piccolo gruppo di case in pietra allineate sotto la
parete verticale della Motta di Avedée.
Anche qui prati, pascoli e terrazzamenti coltivati sono in perfetto ordine, sebbene sia presente qualche casa diroccata.
Sul sentiero, troviamo la chiesetta di Sant’Antonio da Padova.
Bresciadega infine è un altro bel borgo di case che merita certamente una visita.
Bisogna però mettere in conto 4 ore di cammino e più di 8 km di distanza da Novate Mezzola.
All’inizio della frazione sorge il rifugio omonimo, costruito solo nel 1986 e a conduzione famigliare.
E’ incredibile apprendere tutte queste cose da una valle molto isolata e selvaggia, che si è invece resa protagonista di
alcune tappe fondamentali della storia e nella quale, purtroppo, si è versato anche molto sangue.
Oggi la Val Codera rimane l’unica valle delle Alpi a non avere una strada.
L’approvvigionamento avviene mediante sentieri, teleferica o elicottero.
Una specie di traccia malmessa è presente da Codera a Bresciadega, traccia che i valligiani percorrono con mezzi a motore.
Ogni fine settimana è in funzione un servizio di trasporto via elicottero per le persone che vi trascorrono il fine settimana
e, nonostante gli abitanti si siano pronunciati più volte contro la costruzione di una strada, qualcuno ritiene che forse una
stradina avrebbe avuto un impatto inferiore rispetto all’utilizzo di questi mezzi.
Di seguito i principali tempi di percorrenza con il fondovalle.
Si consiglia però di verificare sempre la presenza di eventuali ordinanze che vietano la percorrenza dei sentieri a causa di
qualche frana di cui tutta la valle è soggetta.
Avedée è raggiungibile dal paese di Mezzolpiano (Novate Mezzola) in 1 ora e 10’ di cammino.
Codera è raggiungibile dal paese di Mezzolpiano (Novate Mezzola) in 2 ore 30’ di cammino.
San Giorgio è raggiungibile da Mezzolpiano (Novate Mezzola) in 1 ora 30’ di cammino.

Appofondimento e relazione di: Daniele Repossi