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Villaggio Militare “Filon del Mot” 2.768 m. (Italia – Trentino Alto Adige)
oltre al paesaggio e al bellissimo panorama, si percorrono alpeggi, strade militari e sentieri di collegamento creati
dai soldati durante la Grande Guerra

villaggio militare filon del mot


Località di partenza:
parcheggio presso la III Cantoniera della strada del Passo dello Stelvio
Quota di partenza: 2.318 m.
Quota di arrivo: 2.773 m.
Dislivello: 480 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: si identifica con Filon del Mot la cresta ovest del Monte Scorluzzo.
Sulla punta culminante di tale cresta sorge il villaggio militare, in posizione strategica e dominante sul
Piano di Scorluzzo e sulla Valle del Braulio (Passo dello Stelvio)
Difficoltà: E [scala dei livelli di difficoltà]
Segnaletica e numero di sentiero: 
dal parcheggio della III Cantoniera del Passo dello Stelvio al bivio della strada militare: sentiero n° 505
dal bivio della strada militare alla Malga Scorluzzo: sentiero n° 506
dalla Malga Scorluzzo al villaggio militare “Filon del Mot”: sentiero n° 506
Ore:
3h.
La tempistica non considera il tempo impiegato per la visita
al villaggio militare “Filon del Mot”
Distanza: 8,3 km
Tipo di terreno: prati, strada sterrata, sentiero, ghiaietto sfasciumato
Periodo: da fine giugno a fine settembre
Acqua lungo il percorso: lungo la tratta non ci sono punti d’appoggio.
Sconsigliato rifornirsi d’acqua in uno dei torrenti che scendono dallo Scorluzzo per la presenza di alpeggi e
mandrie al pascolo
Attrezzatura richiesta: classica da escursionismo
Ritorno: dal villaggio militare si segue esattamente il percorso di salita
Rifiuti in montagna: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli


Tecnicamente in breve

Lasciata l’auto nel parcheggio della III Cantoniera del Passo Dello Stelvio (2.318 m.), scavalchiamo il piccolo
muretto in pietra e mettiamo i piedi sui prati adibiti a pascolo di questo verdeggiante pianoro della Valle del Braulio.
Scendiamo per prati lungo il pendio in direzione della strada e del ponte sul Torrente Braulio.
Attraversiamo e tenendoci ora sulla strada militare (sentiero n° 505), iniziamo a risalirla fino al 3° tornante dove
troveremo le indicazioni per la Malga Scorluzzo e il Filon del Mot.
Abbandoniamo la strada per quest’ultima direzione (sentiero n° 506) e in breve, stando sul sentiero, arriviamo alla
Malga Scorluzzo (2.530 m.).
Procediamo dritti seguendo le indicazioni e il sentiero che, dopo aver attraversato prati e pascoli, inizia a inerpicarsi
sul pendio che risale sulla cresta.
Per pietraie, sfasciumi e ghiaietto saliamo fino alla Forcella Filon del Mot (2.768 m.).
Prendiamo la breve e ripida traccia verso destra per raggiungere l’omonimo villaggio militare (2.773 m.).
Per il ritorno seguiamo lo stesso sentiero dell’andata.


La Grande Guerra sul Monte Scorluzzo

Il Monte Scorluzzo rappresentò durante il conflitto il punto più strategico da conquistare per entrambi gli schieramenti,
che da quassù potevano meglio difendere il confine che passava proprio di qui.
Due creste si dipartono da tale cime, quella di sud-ovest, chiamata il Filon del Mot, e quella di nord-ovest,
chiamata Le Rese.
Nei primi giorni di guerra, le artiglierie italiane appostate nei pressi della cima erano puntate sul versante tirolese del
Passo dello Stelvio e, con l’ausilio di diverse postazioni osservatorio, spararono qualche colpo proprio sul Passo,
nei primi momenti solo debolmente difeso.
All’inizio del conflitto l’alto comando dell’Impero austroungarico, era maggiormente intenzionato a portare la guerra
verso il fondovalle, e per questo arretrò la sua linea offensiva che si spingeva fino al Lago dell’Oro,
presso il Passo dello Stelvio.
Non di questa idea fu il comandante responsabile dell’occupazione della zona che in questo modo influenzò tutto
l’esito del conflitto.
Andreas Steiner, senza aver ricevuto alcun ordine, dopo precedenti tiri dell’artiglieria austriaca che avevano sgomberato
il campo, il 4 giugno 1915 con un’azione repentina occupò la cima e l’anticima del Monte Scorluzzo con una sessantina
dei suoi uomini.
Le truppe italiane abbandonarono incautamente la cima dopo i primi colpi ricevuti dall’artiglieria facendo trovare terreno
sgombro all’avversario.
Le truppe del Regio Esercito, che avevano fortificato tutta la zona delle Rese, furono costrette ad arretrare per assestarsi
lungo la cresta del Filon del Mot, costruendo un altro villaggio militare e conseguenti fortificazioni.
Lo Scorluzzo durante il presidio austriaco venne potenziato enormemente in termini di opere difensive, e vennero
scavate nella roccia numerose caverne per riparare gli uomini dai proietti dell’artiglieria italiana (che sparava qualche
colpo dal Forte Dossaccio di Oga).
Fino al termine della guerra, gli Alpini del Battaglione Tirano e del Battaglione Valtellina che qui combatterono cercarono
inutilmente di rientrare in possesso della cima che però rimase in mano austriaca fino al novembre del 1918.
Gli uomini su queste creste combatterono notte e giorno, estate e inverno scavando trincee nella roccia, nella terra e
nella neve, costruendo baracche, strade militari, osservatori e postazioni per artiglieria.
Numerose furono le incursioni militari, soprattutto degli Alpini (anche sul Cristallo), e numerosissimi caddero negli scontri.
Sul finire del conflitto gli austriaci, indeboliti sul fronte interno e sul confine europeo, iniziarono a cedere terreno ai
nemici fino ad arrivare all’armistizio.
Le truppe austriache che sull’Ortles si sentirono dei vincitori, furono travolte e deluse dagli eventi e per questo gli uomini
furono considerati dei vinti.
In realtà la Grande Guerra non vide né vinti, né vincitori, ma una sola immensa sconfitta: quella degli uomini.
Al termine delle ostilità da entrambi gli schieramenti non si riuscirono nemmeno a contare i morti e i dispersi;
2.200.000 uomini non tornarono più a casa.

Mi si obietterà che il giro qui proposto in realtà è ben più ampio e in genere comprendente un anello.
Verissimo.
Chi ha tempo e gamba può partire di buon’ora dal Passo dello Stelvio, salire al Monte Scorluzzo, fare tutta la cresta
del Filon del Mot, visitare il villaggio militare, scendere verso la Valle del Braulio per poi ritornare allo Stelvio passando
dalle Rese Basse (perché non visitare anche quelle alte?).
O viceversa.
E’ forse l’anello escursionistico più famoso dell’Alta Valtellina, al confine con l’Alto Adige.
Giro sicuramente bellissimo, ma molto lungo e impegnativo che secondo me, per godersi al meglio il panorama e
vedere con tutta calma le linee difensive austriache e italiane, andrebbe spezzato in più tappe.
O, in alternativa, andrebbe percorso dopo aver già visitato i singoli villaggi e buona parte delle postazioni difensive
della Grande Guerra.
In questo modo ne verrà fuori un’esperienza completa.
Questo è uno dei tre itinerari che io chiamo “spezzati” di cui si compone il lungo anello descritto prima.
E’ un’escursione breve e adatta a tutti che richiede solo un po’ di attenzione nella parte finale.
Anche il dislivello come si può vedere risulta davvero modesto, così che chiunque senza troppa fatica possa
raggiungere questi luoghi.
Proprio per non dover correre e non voler raggruppare più cose in un’unica giornata, ho deciso di prendermi tutto il tempo
e ben tre giorni per visitare questi luoghi e descrivervi tre escursioni di alta valenza storica.
La partenza è posta lungo la strada del Passo dello Stelvio e precisamente presso il parcheggio della III Casa Cantoniera.
Per giungere fino a qui da Milano, arrivati a Lecco, si costeggia il Lago di Como e, al suo termine, si svolta per la Valtellina
che si percorre interamente.
Si superano Sondrio e Tirano e si arriva a Bormio dove parte la strada che risale il passo.
Giunto al parcheggio mi accoglie un bel sole.
Sono già arrivate un po’ di auto, ma nessuno sembra intenzionato a incamminarsi lungo la direzione scelta da me.
Una signora, un po’ allarmata, mi ferma subito chiedendomi a quale Cantoniera fossimo.
Un pullman infatti la dovrà trasportare in cima al Passo dello Stelvio.
Solo una persona la vedo più avanti in basso già in cammino, ai piedi della militare.
Questa strada si vede già quasi interamente risalire il pendio di fronte verso le Rese dello Scorluzzo; taglia con
precisione millimetrica questo versante erboso, con due bei ponti in pietra negli attraversamenti del Rino di Scorluzzo,
torrente che scende dalle alte quote.
Prima di partire visito (solo esternamente), il vicino Oratorio San Ranieri con gli adiacenti cimitero e Sacrario Militare.
Entrambi si trovano qualche metro più a nord lungo la strada.


Il Sacrario Militare del Passo dello Stelvio

Il Sacrario, il più alto tra tutti i Sacrari della Grande Guerra, dalla forma di un arco di trionfo romano, è stato costruito
dall’architetto Pietro Dal Fabbro nel 1932 e, contiene i resti di 64 soldati italiani caduti in questa zone del fronte e
provenienti dai dismessi cimiteri di guerra di Spondigna e San Ranieri.
Due colonne in pietra a rappresentare due pugnali sono state poste al cancello d’entrata.
Come per molte altre zone dell’arco alpino, le morti in queste montagne non furono causate solamente dalle artiglierie,
ma anche e soprattutto dal freddo e dalle valanghe che a quasi 3000 metri di quota erano molto frequenti.
Non ultimo, i sentieri impervi, resi scivolosi da fango e dalla neve, contribuirono ad uccidere gli uomini impegnati nella
costruzione dei villaggi o nel trasporto dei materiali.

Oratorio San Ranieri e il Sacrario Militare dello Stelvio

L’Oratorio San Ranieri e il Sacrario Militare

Tornato al parcheggio sono pronto a partire in direzione della strada sterrata militare delle Rese.
L’imbocco “ufficiale” del sentiero sarebbe un po’ più in basso lungo la Statale, ma è inutile abbassarsi sfiorando auto
e moto, per poi ritornare per prati praticamente sotto al parcheggio.
Meglio scavalcare un muretto e scendere il breve pendio erboso (attenzione al pascolo delle mucche), per essere
già avviati.
Supero un bel ponticello di legno sul Torrente Braulio, e inizio la salita su questo tracciato percorso dai soldati
impegnati nel trasporto dei materiali e delle artiglierie in quota.
La strada è incredibilmente in buono stato, non tanto per le manutenzioni, quanto per l’alto ingegno costruttivo di un tempo.
Tante opere costruite per durare e per resistere sono infatti giunte intonse fino a noi, quando una strada realizzata oggi
presenterebbe buche dopo breve tempo.
Dove il percorso incrocia il Torrente Rino di Scorluzzo si è provveduto a erigere un muretto a secco in pietra con un
bellissimo arco per lo scolo dell’acqua.
L’unica nota stonata nel percorrere questi tornanti iniziali intervallati da lunghi e dolci rettilinei, viene ancora una volta
dal mondo moderno.
Anche noi abbiamo infatti pensato di lasciare un segno in questi ambienti e non mi riferisco alla statale dello Stelvio,
di certo non ideata per il traffico dei nostri tempi.
Parlo degli immensi piloni della luce che costellano tutta la Piana del Braulio e purtroppo passano molto vicini anche
alla strada militare.
Sfiorandoli non si può non sentire l’immancabile ronzio e provare disappunto per un ambiente e un panorama deturpati.
Panorama che, piloni a parte, è sublime verso il fondovalle dove dalla parte opposta sembrano venirmi incontro i ghiacciai
della Cima Piazzi.
Anche il versante montano opposto è davvero grandioso col Braulio, la Punta di Rims e la tormentata cresta dell’Umbrail.

Man mano che salgo scompaiono anche gli ultimi rumori della statale e il silenzio diventa il vero protagonista.
Dopo lunghi rettilinei e due tornanti arrivo ad un terzo dove lascio questa bella strada per procedere dritto verso
la Malga Scorluzzo e il Filon del Mot, che già appare con la punta terminale dove sorge l’omonimo villaggio militare.
Il tracciato a poco a poco si restringe e diventa un sentiero che taglia l’intero Piano dello Scorluzzo.
Questo è in realtà un piccolo angolo di paradiso, chiuso dalle due creste che scendono dal Monte Scorluzzo,
quella sud – ovest e quella nord – ovest.
Una vasta distesa di prati e pascoli è a beneficio della Malga Scorluzzo, un puntino invisibile quasi nel mezzo del pianoro.
Poco più in alto, verso est, corrono numerose trincee di guerra (descritte nella
relazione delle “Rese dello Scorluzzo”) e,
più in alto ancora iniziano i severi ghiaioni che precipitano dallo Scorluzzo.
Si può definire una vasta conca che racchiude almeno tre ambienti montani, dalle basse alle quote più elevate, con
tutti i tipi di suoli e terreni.
Alla malga raggiungo l’escursionista che mi precedeva e decidiamo di formare una “cordata” unica fino al villaggio.
Lui proseguirà oltre, andando lungo l’anello verso il Passo dello Stelvio.
Io mi fermerò al villaggio per esplorarlo bene, dedicandogli tutto il tempo che occorrerà.
La cresta del “Filon del Mot” e il villaggio sono già visibili di fronte a noi, così come il sentiero che si inerpica verso la
forcella poco sotto i ricoveri militari.
Col la mia fotocamera vado a zoommare su questi edifici, e a vederli da qui ci si chiede come abbiano fatto degli uomini
a costruire una città a quasi 3.000 metri di quota.
In lontananza vediamo chiaramente il sentiero arrancare per pietraie e sfasciumi, mentre ora, sull’erba, la traccia non
è sempre ben distinguibile e andiamo un po’ a occhio.
Nessuna difficoltà in ogni caso, non si può deviare da nessuna parte.
Dopo un po’ di riposo nell’attraversare questa piana, le gambe sono costrette a lavorare di nuovo per colmare il
rimanente dislivello.

filon del mot

Il sentiero sale piano tra le prime rocce per poi impennarsi un po’ bruscamente.
Nell’attraversare i lunghi ghiaioni e nel camminare sul ghiaietto in pendenza, occorre prestare attenzione a non scivolare
in quanto qualche tratto è un po’ esposto.
La salita, non lunghissima, termina davanti ad un cartello di legno che riporta “Filon del Mot, 2768 m”.
Siamo arrivati a destinazione in uno dei luoghi più belli e selvaggi di questa grande vallata.
Da una parte appare tutta la cresta della Reit con i suoi ghiacciai sul lato nord e, molto più in basso, su una conca erbosa
il villaggio militare delle “Buse”. 
Dalla parte opposta tutto il gruppo e le creste dello Scorluzzo fino all’Umbrail.
Più a valle verso Bormio, dove il vuoto è notevole, lo sguardo si spinge dalla Piazzi fino al lontano gruppo del Bernina,
passando dall’isolato Monte Scale.
Salutato il mio compagno di salita svolto a destra dove, dopo un breve strappetto, sono ai primi edifici di un maestoso e
grandissimo villaggio alpino.
Costituito da più livelli, è liberamente esplorabile, (in silenzio e portando rispetto), facendo solo attenzione a non
procedere troppo verso il basso sul lato ovest, dove la montagna precipita per 500 metri sulla statale dello Stelvio.
Si può a grandi linee ancora intuire la destinazione di alcuni locali, come il forno, le postazioni difensive o l’alloggiamento
della teleferica.
Esplorare tutto il complesso richiede tempo, mentre i pensieri vanno alla tragicità degli eventi e all’assurdità di una guerra
voluta dagli alti comandi.
Un senso di incredulità però lo si prova nel vedere questo lavoro svolto alla perfezione dove le pietre, sia che
costituiscano un muro di un edificio o uno scalino di una lunga gradinata, sono esattamente dove dovrebbe essere;
immobili, sembrano raccontarci di queste tristi vicende.

Il villaggio militare del “Filon del Mot”
Sulle ultime pendici della cresta ovest che si stacca dal Monte Scorluzzo, sorgono i resti di un’autentica cittadina, un villaggio d’alta quota costruito durante la Prima Guerra Mondiale dai soldati italiani, a ridosso delle prime linee che correvano lungo la suddetta cresta, e che terminavano con una curiosa costruzione circolare (forse una postazione di vedetta) a metà del percorso verso lo Scorluzzo.
Il villaggio è un’opera architettonica di infinito pregio; affacciato alla Valle del Braulio e alla Valle dei Vitelli, rappresentava un punto d’appoggio per coloro che combattevano su queste cime.
Alloggi e baracche erano disposti su più livelli e su tre versanti, incastonati alle rocce per evitare di precipitare verso il basso.
A collegare tutte queste strutture era una serie di scalinate in pietra.

Il villaggio era dotato di alcune postazioni di fucileria e artiglieria che garantivano un’adeguata difesa, di una cucina con
un forno e di una cisterna d’acqua.
Inoltre, presso il Ponte dei Vitelli nell’omonima valle, partiva una teleferica a contrappeso che superava un dislivello
di 742 metri.
A protezione del lato maggiormente esposto rivolto alla cresta del Filon del Mot, era stato eretto un grande muro difensivo
con feritoie per i fucilieri.
Ma perché la realizzazione di un intero villaggio e soprattutto sulla punta di un monte e non sul pianoro sottostante?
La scelta della posizione così elevata (e scomoda dato che lo spazio per muoversi era molto contenuto), era data da
due fattori, offensivo e difensivo.
Dal primo punto di vista, dall’alto si riuscivano meglio a sorvegliare gli spostamenti del nemico e a battere con le artiglierie
una più ampia porzione di territorio con meno fatica.
Dal punto di vista difensivo, una quota inferiore, sarebbe certamente stata subito presa di mira dal tiro nemico che
sparava dall’alto.
I soldati erano costretti a combattere giorno e notte, spesso senza riposo che, quand’anche fosse loro spettato, non
poteva certo avvenire a valle con conseguenti lunghi trasferimenti.
Ecco quindi il bisogno di costruire questi villaggi per i soldati che potevano rimanere in quota senza lunghi e
dispendiosi spostamenti.
Non solo si costruirono baracche per gli uomini, ma anche magazzini e ricoveri per armi, munizioni e animali (che
trasportavano viveri e materiali).
Dalle tende si passò man mano alle baracche di legno e quindi ai ricoveri in pietra, sempre cercando di occultare la
posizione al nemico e di non farsi scoprire.
I muri, quasi sempre a doppia parete con intercapedine, vennero assemblati a secco col pietrame trovato sul posto,
mentre per le coperture si scelse il legno: il tutto per garantire il più alto coefficiente di isolamento termico.
Laddove non si ebbe tempo di erigere strutture in pietra, ad un basamento di questo materiale si innalzarono doppie pareti
di
legno riempite di paglia e segatura come isolante.
Il tetto era dello stesso materiale delle pareti ricoperto con cartone catramato o con lamiere zincate.
Alcuni di questi villaggi vennero addirittura dotati di energia elettrica.
Per realizzare i grandi muri difensivi e le trincee, si accatastarono tonnellate di pietre, levigate sul posto, con tutti i
problemi che un lavoro disumano a queste quote comportava.
Oggi questo villaggio è stato restaurato dal personale del Parco Nazionale dello Stelvio.

villaggio militare Filon del Mot

Ricoveri del villaggio militare “Filon del Mot”

Terminata la visita è già pomeriggio e in un attimo arriva l’ora di scendere.
La via è quella dell’andata e non pone particolari problemi.
Raggiunta Malga Scorluzzo, di nuovo per la strada militare ritorno al parcheggio dove ho lasciato l’auto.
Un itinerario storico e unico per ambiente e panorama che arricchirà il proprio bagaglio personale.

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi
Si ringrazia per la collaborazione fotografica: Davide Allegri (Facebook –  Youtube)


Note:
itinerario storico-naturalistico facile con breve sviluppo e modestissimo dislivello.
Oltre al paesaggio e al bellissimo panorama, si percorrono alpeggi, strade militari e sentieri di collegamento, affrontati dai
soldati durante la Grande Guerra.
La salita può anche proseguire lungo tutta la cresta del Filon del Mot e arrivare in cima al Monte Scorluzzo.
Un po’ di attenzione è richiesta nel tratto sottostante la forcella di arrivo, dove si cammina su sfasciumi e pietrisco
scivoloso e in leggera esposizione.

filon del mot villaggio militare