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Planpincieux – Arpnouva 1.769 m.
– trekking invernale – (Italia – Val Ferret)

ambiente di salita a ridosso della catena del Monte Bianco, estremamente panoramico e percorso di trekking invernale che
riserva scenari unici, in luoghi spesso solitari (quasi lunari), in particolare nella tratta Lavachey – Arpnouva

planpincieux - arpnouva


Punto di partenza:
Planpinciuex 1.600 m.

Punto di arrivo: Arpnouva 1.769 m.
Dislivello: 169 m.
Livello di difficoltà: E (in estate), EE (in inverno) [scala dei livelli di difficoltà]
Posizione: nella conca della Val Ferret
Ore: 3 ore (tempistica riferita al periodo invernale con progressione su manto nevoso)
Periodo: tutto l’anno, ma attenzione che in inverno il percorso da Lavachey a Arponouva, prevede il passaggio
in zone ad alto rischio di slavine ed è sconsigliato.

Chi affronta questa tratta, la percorre a proprio rischio e pericolo
Attrezzatura necessaria per l’inverno: ciaspole, racchette, consigliata l’Arva
Discesa: per la via di salita
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

Siamo agli inizi del mese di maggio, si è appena conclusa una settimana impegnativa a livello lavorativo e la
voglia di evadere, di tornare nei posti che amo e nei quali sono nato, è tanta.

La Val Ferret è da sempre stata nel mio cuore, e spesso in settimana quando sono lontano, guardo dalle webcam
com’è la situazione, un pò come essere lì per un momento.

E’ domenica mattina, il meteo avrebbe dovuto essere bello almeno fino al primo pomeriggio, ma quando a Morgex
alle ore 6 e un quarto, guardo fuori dalla finestra, vedo le nuvole basse: è tutto coperto.

Attendo un’oretta a casa, poi decido di prendere la macchina e provare a salire ugualmente.
Con me il drone, che mi accompagna in tutte le escursioni per tentare di fare riprese uniche e fotografie che
diversamente sarebbero impossibili.

Arrivo con l’auto poco dopo Planpincieux, dove parcheggio, la strada è ancora chiusa per neve.
Infilo gli scarponi e inizio a incamminarmi, mi piacerebbe tentare di arrivare fino al Rifugio Elena.

L’inverno appena concluso (siamo nel mese di maggio 2021), è stato molto nevoso e sulla strada fin da subito,
devo attraversare importanti residui di slavine, ma senza problemi arrivo fino a Lavachey. 
Vedo sulla mia destra i due ristoranti storici (in quel momento chiusi), dov’è mia abitudine prendere (come regalo),
una fetta di torta al rientro da escursioni, e rilassarmi sulle sdraio al sole, ammirando le vette del Monte Bianco che
mi emozionano ogni volta.
Non fa particolarmente freddo, ci sono 6° e praticamente nessuno, salvo due agenti della Guardia Forestale
con i quali ci salutiamo.
In questo silenzio, apprezzo i versi dei vari uccelli, e salendo sulle rampe che mi portano verso il bivio del sentiero che
si inerpica per il Rifugio Bonatti, il profumo del bosco mi ricorda le pinete di questi posti, perché la Valle d’Aosta è piena di
meravigliosi boschi, nei quali ho trascorso la mia infanzia.
La strada è oramai invasa dalla neve, ma anche senza ciaspole, si sale senza problemi.
Supero il ponticello di legno poco dopo il bivio per il Bonatti e proseguo in direzione Arpnouva.
Con pochi metri di dislivello, lo scenario cambia completamente: c’è molta più neve, si entra in un altro mondo.

Guardo sulla sinistra restando come ogni volta incantato dal Ghiacciaio di Freboudze e più in alto dalle
Petites Jorasses, oggi immerse nelle nuvole di un tempo imbronciato.

Decido di fare un primo volo con il drone, per infilarmi in un canalone che scende dal Monte Gruetta.
Ci sono parecchie nuvole, ma voglio andare a ispezionare alcune cascate di acqua e ghiaccio che scendono da
quei pendii ripidissimi.

Cerco di fare attenzione, il canalone è abbastanza stretto, la visibilità man mano che si sale, si riduce,
ma lo spettacolo è assicurato.

Riprendo tutto, è un momento di vita irripetibile.
La pendenza è impressionante e sono ben visibili le ampie colate di neve che chissà quante migliaia di volte
sono scese da lì.

Dall’alto vedo anche due camosci, su un pendio molto più in basso.
Mi trovo con il drone nella nebbia, ma riesco a riprendere una cascata d’acqua che cade all’interno di un enorme “
secchio di ghiaccio”, cerco di avvicinarmi, che meraviglia della natura.

Esploro, interrompo il video per fare delle foto, riprendo il video, mi giro, guardo verso il basso e vedo il
vuoto più assoluto.

Imposto l’avvicinamento per atterrare, i 30 minuti di autonomia della prima batteria, stanno volgendo al termine.
In fase di discesa, resto impressionato dalla pendenza di questo canalone, dal basso non ci si rende conto.
Richiudo tutto nello zaino e proseguo a piedi verso Arpnouva.

Man mano che si avanza, il manto nevoso si alza, attraverso una distesa infinita di tronchi tranciati dalle ampie
slavine invernali e osservo delle enormi macchie nere sulla neve (riprese anche dal drone).

Sono i rami dei pini, polverizzati dalle valanghe e disseminati su un raggio ampissimo.
Spiace, ma fa parte della natura, osservo sempre con stupore questi grandi pini spezzati in due come un filo d’erba.
Resto ogni volta stupito dalla potenza della natura: noi al confronto siamo il nulla.
Arrivo ad Arpnouva, senza incontrare nessuno.
Il percorso cerco di intuirlo, perché la neve ricopre tutto e la strada è ampiamente sommersa.
Le poche baite sono chiuse.
Attraverso il ponticello di legno e mi dirigo verso la mulattiera che sale al Rifugio Elena.

Qui il manto di neve in alcuni tratti ha uno spessore di diversi metri, non ho le ciaspole, solo gli scarponi, la neve è
dura e mi sorregge, ma in altri punti sprofondo anche oltre il ginocchio.

Per salire al Rifugio Elena ci sono due percorsi: il sentiero che (guardando in direzione del Bivacco Fiorio), resta
sulla destra orografica, oppure la poderale che resta sulla sinistra.

Evito il sentiero, (invisibile e troppo in pendenza), e cerco di intuire dove potrebbe passare la poderale.
Generalmente il percorso di salita al Rifugio Elena, da Arpnouva è di 45 minuti, ma in queste condizioni,
ci vorrà un bel pò di tempo in più.

Nessuno è passato di qui, perché le prime tracce sono solo le mie, (salvo quelle di camosci o stambecchi).
Davanti a me una distesa enorme di neve, ma anche una bella marmotta che sbuca da sotto un grande sasso e
mi guarda incuriosita: probabilmente sono il suo primo incontro della stagione.

Ho il tempo di fare qualche foto.
Che graziosa, resta lì anche quando mi avvino per tentare di raggiungere la meta, ma poi con
un balzo scompare….

E’ un annuncio di primavera.
Poco più avanti, vedo quello che mi sembra essere uno stambecco, ma di colore grigio chiaro, quasi bianco.
Velocissimo, non riesco neppure a fotografarlo.
Questi sono gli unici (e piacevoli incontri) del percorso di salita.
Con un occhio guardo sempre le nuvole già piuttosto basse, le previsioni annunciano un peggioramento nel
pomeriggio e non vorrei trovarmi nella nebbia.

La progressione è faticosa, il manto nevoso alle volte cede e mi fa sprofondare fino alla coscia.
Attraverso delle ampie slavine, alla mia sinistra (ma quasi completamente avvolto dalle nuvole), il Ghiacciaio
Prè de Bard, al quale sono emotivamente legato.

Quando ero un bambino, arrivavo con poco sforzo a toccarlo con le mani, adesso si è notevolmente ritirato
per effetto dei cambiamenti climatici e la scorsa estate l’ho sorvolato con il drone per documentare questa agonia,
alla quale non possiamo e non dobbiamo restare indifferenti.

Sono a quasi 20 minuti dall’arrivo del Rifugio Elena, ma decido di non proseguire per ragioni di sicurezza.
Il manto nevoso è alto parecchi metri, ho gli scarponi marci di acqua per via della neve che si è infilata
dentro dalle caviglie.

Inoltre per due volte, ho avvertito un rumore sordo sotto ai miei piedi, non vorrei correre il rischio di attraversare
un ponte di neve che potrebbe cedere improvvisamente.

Mi spiace non raggiungere la meta, mi spiace tantissimo, non è mia abitudine.
Ma la montagna va rispettata, e la sicurezza dev’essere sempre messa davanti ad ogni nostra scelta.
Mi guardo attorno: in lontananza sento solo il rumore di qualche piccola slavina che scende dalla zona del Prè de Bard.
Bianco e neve ovunque, silenzio totale, nessuna presenza umana.
Che meraviglia!!

Con attenzione rientro verso Arpnouva e successivamente scendo verso il bivio per il Rifugio Bonatti.
Nel frattempo uno sprazzo di sole, mi riscalda, le previsioni meteo sono state completamente disattese.
Decido di fare ancora un volo con il drone per immortalare il momento.
Risalgo un canalone che scende dal Ghiaccio del Freboudze il quale resta più in alto rispetto a dove sono io di
almeno 2.000 m. di dislivello.

Anche in questo caso la pendenza è impressionante.
Sono praticamente nato in Valle d’Aosta, ma non smetto mai di stupirmi per tanta bellezza e ogni volta resto incantato dall’ambiente che mi circonda.
Sprazzi di sereno, lasciano intravvedere una montagna di neve verso il Colle del Malatrà, parzialmente illuminato da
qualche timido raggio di sole, dove giochi di nuvole e luci disegnano strane forme sul manto nevoso.

La giornata volge al termine.
Scendo verso Lavachey, il lago delle trote è ovviamente ancora vuoto, anche qui, quanti ricordi.
Raggiungo Planpincieux dove riprendo la macchina.
Nei prati alcuni ragazzi hanno steso degli asciugamani per prendere un misero sole: la primavera è iniziata.
Con pochi pochi metri di dislivello, il paesaggio si trasforma completamente, passando da prati fioriti ad accumuli di
masse nevose molto importanti.

Una splendida giornata, così come lo è questa fantastica Val Ferret, un posto dove più ci sei e più vorresti rimanere.

Relazione, fotografie e riprese video di: Michele Giordano


Note: ambiente di salita a ridosso della catena del Monte Bianco, estremamente panoramico.

Percorso di trekking invernale che riserva scenari unici, in luoghi spesso solitari (quasi lunari), in particolare
nella tratta Lavachey – Arpnouva.

Preciso che la tratta Lavachey – Arpnouva in inverno è sconsigliata in quanto attraversa pendii con rischio di
slavine e valanghe.

Chi affronta questo percorso in inverno, lo fa a proprio rischio e pericolo.