Cerca

via dei Carri Matti – Borgio Natura – (Italia – Borgio Verezzi)
camminando lungo i vecchi sentieri, verso il mare e le borgate di Verezzi che i cavatori di pietre percorrevano per
trasportare il prezioso materiale, per il quale ci si serviva di appositi carri, chiamati “matti”…

via dei carri matti


Località di partenza:
Cava Pilino (strada per la Cava Vecchia), Borgio (SV)

Quota di partenza: 182 m.
Quota massima: 269 m. (Chiesetta di S. Martino Vescovo)
Dislivello: 339 m. (dislivello totale positivo)
Posizione: l’anello qui descritto si sviluppa intorno al promontorio prospiciente il mare denominato “Gallinari”;
alcuni tratti di questo itinerario coincidono con i sentieri Natura, Cultura e Geologico.
Borgio si trova nel tratto della Riviera Ligure di Ponente compreso tra Finale Ligure (ad est) e Pietra Ligure (ad ovest)
Difficoltà: E [scala dei livelli delle difficoltà]
Segnaletica e n° di sentiero: sentiero n° 2-segnavia rosso e bianco
Ore: 1h 30’ (anello completo) 
La tempistica include la salita a piedi fino alla Cava Pilino e non considera le soste da mettere in conto per visitare
tutti i principali punti di interesse e soffermarsi in uno dei numerosi punti panoramici
Distanza: 3,7 km
Tipo di terreno: strade asfaltate, strade sterrate, sentiero, pietrisco
Periodo: tutto l’anno
Acqua lungo il percorso: nei locali di Borgio e nel bar presso la chiesetta di San Martino
(verificare i giorni e gli orari di apertura, che possono cambiare a seconda della stagione)
Le tappe del percorso: Via dei Pasti – Poggio – Cava Pilino – Cava Vecchia – Cava della Chiesa
– chiesetta di San Martino – Cava del Colle – Macine – Cava Pilino – Poggio – Grotte di Borgio

Attrezzatura richiesta: normale da escursionismo
Ritorno: il percorso è ad anello, seguire la cartina e i dettagli riportati nello scritto per avere informazioni precise
Rifiuti: ecco cosa bisogna sapere prima di abbandonarli

 


Tecnicamente in breve

Per giungere al punto di partenza, Cava Pilino (182 m.), è consigliabile non utilizzare l’auto e salire a piedi
(il piccolo parcheggio in loco è privato).
Si può partire dall’incrocio tra v
ia Iris e via dei Pasti e proseguire dritti fino a Poggio.
Attraversata la borgata, scendendo pochi metri lungo l’asfalto
(via Nazario Sauro), si imbocca sulla sinistra la strada
che sale all’ex cava, passando accanto a un ristorante e si arriverà a destinazione.
Seguendo le indicazioni si procede dritti lungo la strada della
Vecchia Cava, a mezza costa, fino a raggiungerla.
Arrivati presso un largo (un tempo il piazzale di estrazione), è consigliabile prendere il breve sentierino che si inoltra
nella cava e, con brevissimo anello, uscire di nuovo nel vecchio piazzale di estrazione.
Si toccheranno con mano le pareti di roccia della cava.
Si prosegue in discesa, (a tratti ripida), e a mezza costa (punto un po’ esposto), fino ad arrivare al bivio di intersezione
con il
Sentiero Natura.
Tenendosi sulla sinistra e salendo, si cammina ai piedi lungo il versante est di
Gallinari, entrando nella lecceta della
Valle di Rio Fine.
Si giunge così ad un bivio nel quale ci si tiene sulla sinistra per arrivare, dopo pochi metri di salita, alla
Chiesetta di
San Martino Vescovo (269 m.).
Da questo punto, per il versante affacciato su Borgio, ci si abbassa per v
ia della Ciappa (indicazioni), si supera
il vecchio capanno di caccia e gli anfratti della
Madonnina, e si arriva ad un bivio nel quale si può prendere a sinistra
per portarsi sotto la
Cava del Colle.
E’ consigliabile qui non percorrere il breve anello che ruota intorno alla cava ma, dopo la visita, tornare sui propri passi,
lungo il sentiero, per giungere alla
Ciappa (lastra in dialetto ligure), luogo di estrazione delle macine dalla pietra.
Proseguendo lungo la via, si uscirà sulla strada più larga di collegamento con la cava, e, dopo un tornante, si
completerà il percorso presso il punto di partenza.

Liguria, Riviera di Ponente.
Tra i posti più suggestivi e davvero meritevoli di un prolungato soggiorno, rientra certamente la grande insenatura che
comprende Borgio e il Pietrese e che oltre prosegue nel Loanese.
Consigliare una visita in queste zone parlando del mare, del clima sempre mite, delle spiagge o della buona cucina è
scoprire l’acqua calda.
Questi fattori sono noti a tutti, tanto che la Liguria è una delle mete più ambite sia d’estate quanto d’inverno.
Ora però io voglio farvi scoprire questa porzione di territorio da un punto di vista meno conosciuto, e che invece merita di
essere portato alla ribalta.
Di cosa sto parlando?
Ma di trekking e passeggiate, ovvio!
Se come me siete tra coloro che da anni frequentano questi posti da “turista” estivo (leggasi: “spiaggista”) o se non
avete mai raggiunto questi borghi, è giunto il momento di rimediare e tuffarsi in scenari mozzafiato.
Un mondo che da sempre è lì, alle spalle del traffico, dei rumori e del mare, ma che a torto è stato sempre
(non si sa perché) ignorato.
Ora di cose da dire ne abbiamo veramente tante.
E proprio per questo io inizierei con una breve descrizione a riguardo…


Verezzi, uno dei borghi più belli d’Italia

Borgio Verezzi si trova compreso tra il Finalese (est), e il Pietrese (ovest), e il titolo di cui sopra è ben meritato.
Come ai più sarà saltato all’occhio, in realtà si sta parlando di due distinte località, unite in un unico comune solo nel 1933.
Borgio, sul mare, oggi paese moderno alquanto trafficato che circonda la parte più antica posta su una piccola altura
e Verezzi, sulla collina, dal quale si gode di uno splendido panorama e che comprende 4 antichi borghi caratteristici:
Roccaro, Piazza, Crosa e Poggio.
Le origini di questo comune risalgono a oltre il 200 A.C. quando sembra che i romani si siano scontrati con la
popolazione locale ligure per conquistare il territorio.
Viretum e Burgus Albingaunum, questi gli antichi nomi di Borgio e Verezzi appartenevano dapprima al Vescovato di Albenga,
per poi passare sotto il controllo dei Marchesi Del Carretto di Finale e quindi alla Repubblica di Genova, ceduti da
Papa Urbano VI (1385) in quanto parte della podesteria di Pietra Ligure.
Ricchezza e prosperità caratterizzarono questi luoghi fino all’arrivo di Napoleone, anni in cui iniziarono le incursioni
dei pirati saraceni che, innamorati della bellezza del luogo, iniziarono a stabilirvisi.
Un esempio lo si trova oggi in alcuni edifici di Borgio e di Verezzi in caratteristico stile architettonico e che formavano
l’antico borgo saraceno.
Borgio tentò di difendersi fortificando la costa, prova ne è l’antico forte che sorgeva al posto dell’attuale chiesa
di San Pietro.
Napoleone all’inizio del 1800 riuscì a conquistare tutto il territorio annettendo la Repubblica Ligure al suo impero.
Alla sua caduta la Liguria venne annessa al Piemonte in base a quanto stabilito dal Congresso di Vienna.
Così le due frazioni entrarono a far parte prima della provincia di Albenga, poi in quella di Genova e infine, dal 1929,
in quella di Savona.
Nel 1933 si ebbe l’unificazione in un unico comune, ma come ampiamente constatabile, le due realtà si differenziano
molto in quanto ad ambiente, tradizioni ed economia.
Borgio, sul mare, è oggi un paese che fa del turismo il suo punto di forza, con spiagge, locali e abitazioni residenziali;
caratteristico è il suo centro storico sopraelevato.
Verezzi è un borgo ancora dal forte impulso saraceno, agricolo, tipico, immerso nel verde della collina, dove ancora sono
in molti a portare avanti i lavori e le tradizioni di un tempo.
E’ esattamente in queste frazioni affacciate sul mare che inizia il viaggio nel tempo verso un’epoca molto antica.
Camminando per i caruggi, si rimarrà increduli di fronte alle tipiche case in pietra rosa, alle piccole torri fortificate,
agli strettissimi passaggi, agli antichi lavatoi e fontane, alle arcate che collegano le varie case e che offrono
sensazionali spunti panoramici.
E poi ancora porticati, edicole votive, panchine e portoni antichi: tutti elementi che rimandano ad un lontano passato.
Le borgate sono collegate tra loro da mulattiere dette
creuze, chiuse ovviamente al traffico veicolare e formate da
gradini in pietra, acciottolato e delimitate da alti muretti confinari.
A dire la verità tutto è realizzato con la pietra: non solo le case ma anche porticati, archivolti, gradini, lavatoi, scalinate,
pluviali dei tetti ecc.
Le borgate, che da lontano appaiono come un blocco unico di roccia, sono effettivamente tutte ammassate
l’una sull’altra ma tuttavia diverse fra loro per forma, colore e dimensione.
Sembra che un architetto si sia divertito a realizzare delle costruzioni senza un preciso schema, in modo astratto.
Viste dall’alto le frazioni appaiono come 4 piccoli centri separati e ad impressionare è la moltitudine variegata di tetti e
terrazze apparentemente collocate senza una logica.
Spesso ci si troverà a percorrere tratti in salita o in discesa anche molto ripidi dove eventuali soste per prendere il fiato
riempiranno i polmoni non di aria soltanto, ma di bellezza, gioia e pace.
Il tutto è reso possibile dai nostri occhi che imprimono nell’anima il quadretto variopinto sul quale sono puntati.
La collina che circonda queste frazioni è stata addomesticata dall’uomo il quale ha realizzato tipici terrazzamenti sui quali
vengono coltivati alberi da frutto, ortaggi e…fichi d’india!
Inutile dire che la vista sulla costa ligure da quassù è qualcosa di impareggiabile.
Borgio Verezzi offre però innumerevoli altri appuntamenti e luoghi da visitare, in primis il famosissimo Festival teatrale
messo in scena in piazza S. Agostino a Piazza, tutte le estati dal 1967 e le Grotte.
Per non parlare delle passeggiate lungo la costa magari fermandosi ad assaporare uno dei prelibati piatti locali.
Per un pit-stop veloce poi, c’è sempre la focaccia!

Fare trekking nella conca di Borgio significa avere l’imbarazzo della scelta sul tipo di percorso da intraprendere.
I percorsi descritti e affrontati sono relativamente brevi, con poco dislivello e alla portata di tutti.
I più allenati tra voi potranno anche percorrere due itinerari in una sola giornata, anche se io consiglio di fermarsi,
e concedersi tutto il tempo necessario per godere appieno delle bellezze che il territorio ha da offrire.
E di cose da vedere, da assaporare, ce ne sono davvero una marea!
Nel riquadro qui in basso andiamo ad analizzare i vari tipi di percorso in base all’esperienza che vogliamo fare.
Inutile dire però che scegliere è un delitto, meritano tutti la nostra attenzione!


La rete sentieristica di “Borgio Natura”

Solo un lento incedere permette di scoprire tutte le bellezze e gli angoli più nascosti che questo tratto di costa ligure
offre al viandante.
Antichi sentieri, viottoli, mulattiere e caruggi un tempo percorsi da antiche popolazioni e più recentemente utilizzati per
il trasporto verso il mare dei grandi blocchi di pietra che si estraevano dalle cave dislocate su queste pendici,
sono oggi stati ripristinati in modo fedele e conservati nel modo migliore, così che chiunque voglia percorrerli possa
godere di queste bellezze.
Quattro sono i sentieri che a mio avviso meritano di essere percorsi lungo le colline di Verezzi; altri, non meno interessanti
ma più lunghi e che collegano Borgio col Pietrese e il Finalese, verranno descritti in seguito.
Questi quattro itinerari sono compresi all’interno di una rete sentieristica chiamata “Borgio Natura”, ben segnalati e
dotati di appositi pannelli informativi nei punti strategici più rilevanti.
Il progetto “Borgio Natura”, ideato dal comune, dalla Cooperativa Tracce e in collaborazione col C.A.I. e con la F.I.E.
(Federazione Italiana Escursionismo), è nato nel 1995 con lo scopo di valorizzare il territorio da un punto di vista culturale,
ambientale, storico e turistico.
Tali percorsi compiono tutti un anello e sono:
SENTIERO CULTURA:
itinerario che attraversa tutte e 4 le borgate di Verezzi, descrivendone le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista
storico e architettonico, grazie anche all’utilizzo di 12 pannelli informativi dislocati lungo il percorso.
Alla parte culturale si affianca però anche quella naturalistica-collinare, in quanto nel tratto centrale si percorrerà
un’intera cresta panoramica a picco sul mare (Gallinari), con una discesa su roccette che ha molto il sapore montano.
SENTIERO NATURA:
itinerario ambientale-naturalistico che tocca 3 delle 4 borgate di Verezzi e il più grande comune di Borgio in riva al mare.
Anche in questo caso, 15 pannelli informativi illustrano le peculiarità del territorio sotto gli aspetti botanico, naturalistico,
faunistico, geologico, storico e architettonico.
SENTIERO GEOLOGICO:
itinerario tematico e vero e proprio viaggio nel tempo attraverso le ere geologiche che hanno caratterizzato il pianeta.
6 pannelli informativi consentono di partire da 300 milioni di anni fa e di arrivare in epoca odierna.
Al termine del percorso è raccomandabile una visita alle famose Grotte di Borgio Verezzi.
VIA DEI CARRI MATTI:
itinerario che ripercorre l’antico tragitto che veniva fatto compiere dai grossi blocchi di pietra estratti nelle cave verso
il mare e trasportati su carri chiamati appunto “matti”.
Al viandante viene concessa la possibilità di ripercorrere la dura vita dei cavatori di un tempo che con immani fatiche
cercavano di far fruttare il loro lavoro trasportando il materiale estratto verso il mare mediante i “Carri Matti”. 
Questo anello gira attorno al promontorio di Gallinari e per brevi tratti coincide coi sentieri Geologico, Natura e Cultura.

Prima di raccontarvi la mia esperienza lungo il Sentiero Geologico, ancora due parole sul clima e sul tipo di ambiente.
I tracciati sono affrontabili tutto l’anno; la Liguria è nota per il suo clima mite, a ridosso del mare.
E’ molto raro che nevichi e quindi l’autunno e l’inverno sono stagioni da sfruttare, anzi, le migliori per sfuggire alla
canicola estiva.
In linea di massima è proprio quest’ultima la stagione poco adatta al trekking, se non nelle giornate un po’ nuvolose e
con poca umidità.
L’ambiente che si attraversa è quello tipico della macchia mediterranea, dove la vegetazione cresce su di un
substrato calcareo e soffre della quasi assenza di precipitazioni estive.
Il suolo è molto arido e i versanti di queste colline a ridosso del mare sono spesso spazzati dal vento (anche forte).
Organizzate bene il vostro vestiario.
I percorsi interessano diverse porzioni di territorio.
Ci sono zone rocciose e brulle dove piante ed arbusti si presentano a macchie, diradati, anche a causa del
sistemico taglio delle piante da parte dell’uomo, o per via degli incendi che nei secoli hanno lambito queste coste.
Tipici di questi ambienti sono la ginestra, il timo, il rosmarino, l’erica e la lavanda.
Altre zone sono invece fitte, tanto che non di rado si attraversano leccete apparentemente impenetrabili che formano
vere e proprie giungle.
Qui anche il sottobosco è ricco e gli arbusti.
La specie tipica di queste aree è il leccio, presente in gran quantità.
Una pianta che resiste molto bene alla siccità, ma anche al freddo, e che può elevarsi fino a 20 metri di altezza.
Le foglie, sempreverdi, sono fitte ed oscurano completamente il sole rendendo il passaggio in questi boschi davvero
suggestivo e per certi aspetti un po’ inquietante.
A sorprendere sono anche le piante e i fiori, con i quali gli abitanti di Verezzi colorano le loro borgate che nei periodi di
fioritura profumano l’aria di essenze molto intense e particolari.
La pianta più gettonata è la Mirabilis jalapa L., 1753, meglio conosciuta come la “Bella di Notte”.
I suoi fiori vogliono l’esposizione solare, ma al sole, tendono ad appassire: la magia si ha al tramonto, quando gli
stessi si aprono (la Bella di Notte, come da nome, è un fiore notturno), rilasciando nell’aria un’esplosione di profumo.
Sulle pareti rocciose e sulle pietre c’è invece la Campanula Isophylla, (o Campanula di Noli), che in primavera colora
di azzurro-violetto la pietra di Verezzi.
Le vere star però a mio avviso sono loro: i fichi d’india!
Ne troverete, ovunque, sul terreno, sui terrazzamenti, sulle terrazze, sui balconi o pendenti a testa in già dai muretti.
Crescono e portano una vivacità di colori incredibile.  
Ora, dopo aver dato giusto un assaggio, siamo pronti a partire.
Ricordo che eventuali foto e approfondimenti mancanti a corredo di questo percorso, possono trovarsi invece negli
altri, per esigenze di impaginazione.
Non è da dimenticare che lunghi tratti di questi itinerari si sovrappongono fra loro, per cui in alcuni punti si transita
più volte.

Sulle orme dei cavatori di pietra
Ho lasciato volutamente per ultimo questo interessantissimo giro ad anello; non perché sia il meno interessante,
tutt’altro, ma per provare ad addentrarmi tra queste montagne in tutta tranquillità in un’altra stagione diversa dall’estate,
nella quale fervono le attività umane e il traffico su strade e sentieri è maggiore.
Quasi per ricreare le condizioni di un tempo, quando i cavatori percorrevano in lungo e il largo questi sentieri,
isolati e senza rumori o caos che (con dispiacere) ci presenta l’attuale società.
La Via dei Carri Matti infatti è l’unico itinerario a non interessare strade asfaltate e borgate, regalando un’immersione
totale nel territorio e nella natura; per limitare ulteriormente la presenza umana, non c’è altra via che partire in inverno,
sempre sotto un bel sole (e tanto vento!).
In questo modo è anche possibile vedere direttamente i cambiamenti e le sfumature ambientali di queste propaggini
collinari a picco sul mare.
Impossibile non restare attoniti di fronte al contrasto che le diverse stagioni presentano.
L’estate, ad esempio, dal caldo torrido e a tratti afoso, è vero, ma anche dalle splendide fioriture e con l’esplosione di
fichi d’india carichi di frutti colorati.
L’inverno, dalla vegetazione molto meno fitta, ma ugualmente ricca, con un’altra esplosione, quella degli alberi da frutto
in ogni dove: limoni, mandarini, mandaranci, clementine, aranci e kumquat!
Insomma, uliveti e agrumeti in ogni dove, assieme agli onnipresenti fichi d’india, ora senza frutti: lungo le
strade, sui terrazzamenti, nei parcheggi, a lato dei sentieri… che spettacolo, e che gola!
E’ dunque in una bellissima e ventosissima giornata di gennaio che mi accingo a risalire una delle vecchie mulattiere
delle borgate di Verezzi che mi condurranno al punto di partenza di questo bell’anello.

La strada più breve per raggiungere Cava Pilino è quella di salire da Via dei Pasti, imboccandola a Borgio
dall’incrocio con Via Iris.
Io scelgo volontariamente di allungare un po’ la giornata e di salire dalle Grotte di Borgio, ripercorrendo un bel tratto
del
Sentiero Geologico.
Mi godo così scorci fantastici sul mare percorrendo con la dovuta calma queste colline per poi immergermi
nuovamente nella magia e nella storia delle borgate di Roccaro e Piazza, ampiamente descritte negli altri percorsi.
Sfiorando appena Poggio arrivo in breve in un grande spiazzo dove veniva estratta la pietra dall’ex Cava Pilino,
chiusa negli anni ’30 del ‘900.
Ora in quest’area c’è un grande parcheggio privato dell’adiacente ristorante; proprio per questo, invito a lasciare giù
in paese l’auto, tanto la strada da fare è poca.
La parete di roccia da cui si estraevano i blocchi è ancora visibile almeno nella sua parte sommitale.
In basso, la fittissima vegetazione ne impedisce l’avvicinamento.
Bellissima visuale è invece quella verso Crosa, in direzione nord-ovest, direttamente sotto alla collina sulla cui cima
è la Torre di Bastia.
Vedere da qui questa borgata regala stupore: un pugno di case incastrate una nell’altra e concentrate in uno spazio
ristretto, aggrappato alla collina, con uno stacco di colore evidentissimo.
Tutto intorno, il bosco e i terrazzamenti ricchi di agrumeti.
Le indicazioni appese ad un muretto indicano il via, per il sentiero CM n° 2.
Prendendo avanti a me la comoda e larga strada pianeggiante che conduce alla Vecchia Cava (la sbarra all’inizio
impedisce il traffico a motore), muovo un passo dopo l’altro con lo sguardo fisso verso destra, dove si apre uno
scenario da cartolina raffigurante il tratto di ponente della costa che comprende il pietrese e il loanese e ben oltre
il lontano Capo Mele.
Fanno da cornice tutti i rilievi più alti e importanti della zona che come guardiani, sorvegliano il litorale e ne favoriscono
il clima mite.
Uno su tutti?
Lui, il Monte Carmo!
La giornata davvero tersa consente di acciuffare ogni più piccolo dettaglio, dal mare alle Alpi: una vera goduria!
Ah, l’inverno… l’unico inconveniente, se così si può dire, è il vento, davvero forte oggi, che nei tratti più esposti,
come questo, a folate mi spinge contro la montagna.
Un aspetto normale in Liguria ma che, a meno di impeti davvero violenti, non deve preoccupare.
Così, avanzando adagio lungo questo terrazzino fra mare e monti, giungo ad uno spiazzo che altro non era che
il luogo di raccolta e lavorazione delle pietre estratte dalla vicina cava.
Quale? Ma la Vecchia Cava, ovvio!
Ignorando il sentiero più a sinistra che si innalza sul promontorio Gallinari e ripercorre il
Sentiero Cultura, prendo
invece l’esile traccia che si infila nella macchia e dopo qualche metro sbuca sotto le pareti della cava.
E’ un piccolo giro ad anello che consiglio assolutamente di intraprendere.
Una bella scalinata con un corrimano in ferro si incunea in uno stretto passaggio roccioso davvero suggestivo,
per uscire direttamente nella cava, sotto pareti squadrate e strapiombanti cariche dei colori rosso e marrone.
La cava è davvero enorme e impressionante: sono una pulce al cospetto di un pachiderma!
Tra pietrame e grossi macigni percorro questo piccolo periplo sbalordito da queste rocce e dal lavoro che degli uomini,
con immani fatiche, sopportavano per vivere.
Probabilmente, il grosso cumulo di macerie visibile al centro del cerchio che si percorre, era la vecchia galleria
d’estrazione, il cui collasso ha poi portato alla chiusura dello scavo.
Passando sopra un bel ponticello di legno e attraverso un nuovo anfratto mi ritrovo nello spiazzo affacciato sul mare.


La Cava Vecchia (o Cava dei Fossili) e la Cava Ronco

Scendendo dalle rocce di Gallinari non si può rimanere indifferenti alla grande conca a semicerchio che si apre
sulla sinistra.
Un enorme vuoto, oggi in parte boscoso, terminante con una roccia levigata e rossiccia su di una parete impressionante.
La forma è una mezzaluna.
E’ la
Cava Vecchia, che un tempo, prima del 1930, aveva un soffitto a volta che copriva il grande spazio vuoto
attualmente visibile.
La pietra infatti veniva estratta in galleria.
Il crollo avvenne in una pausa pranzo dei cavatori, usciti all’esterno proprio perché insospettiti da rumori sinistri
provenire dall’interno.
Fortunatamente non ci furono vittime e, come sempre accade in questi casi, dopo poco si dimenticò il fatto.
Il metodo di estrazione, (coltivazione) della pietra era quello a cannetta mediante il quale si eseguivano
(a punta e mazzetta), solchi verticali profondi nella roccia a seconda della dimensione desiderata.
La pietra veniva poi cavata con l’aiuto di cunei di legno e punteruoli che venivano incastrati sul lato debole e
generalmente inclinato.
Il legno, imbevuto d’acqua, era preferibile al metallo in quanto, una volta incastrato nella fessura, aumentandone
il volume dello stesso, favoriva il distacco della pietra.
Metodi di estrazione più invasivi e moderni prevedevano l’uso dell’esplosivo e del filo elicoidale.
Il primo però era un metodo altamente distruttivo, frantumava la roccia perdendone in gran parte: si abbandonò
quasi subito.
Il secondo era il migliore: fili d’acciaio intrecciati ad elica erano in grado di portare con sé una miscela abrasiva di
acqua e sabbia capace di consumare la roccia.
Fili lunghissimi venivano così disposti all’interno della cava mediante l’uso di pulegge e rinvii.
Si isolava la roccia, la si consumava e se ne raccoglieva infine la porzione desiderata (volata) sull’area di lavoro.
I grandi blocchi venivano ulteriormente divisi e trasportati a Verezzi dove si lavoravano e il prodotto finito
commercializzato.
Era una vita molto dura, mal pagata e soprattutto non esente da rischi, senza contare le esalazioni di polveri e
sostanze che col tempo portavano a malattie anche gravi.
Le pendici collinari di Borgio e il Finalese sono letteralmente cosparsi di cave, grandi o piccole; percorrendo uno dei
numerosi sentieri ci si imbatterà per forza in una di esse.
Questa è solo la più grande (e in galleria) delle cave descritte in questi itinerari, le altre sono la Cava Pilino,
la Cava Ronco, la Cava dell’Orera e la Cava del Colle.
La Cava Vecchia era già operativa nel 1500.
Proprio in quel tempo si iniziò ad estrarre la pietra bruno-rossiccia richiesta non solo per i lussuosi edifici aristocratici
presenti a Genova, Loano e nel feudo dei Doria, ma anche a scopo decorativo-ornamentale e da taglio.
Il colore di questa pietra è una variante della Pietra di Finale, nella quale sono stati rinvenuti anche numerosi fossili.
Più di 20 milioni di anni fa qui c’era solo mare, normale quindi che siano stati ritrovati ricci di mare, molluschi e
conchiglie su queste rocce emerse dalle acque, quando il fondale marino iniziò a sollevarsi e l’acqua a ritirarsi.
L’altopiano che si formò col tempo fu sottoposto alla modellazione delle acque fluviali, per questo alcune zone sono
nettamente diverse dalle altre.
Anche la Cava Ronco funzionava come la Cava Vecchia.
Tuttavia, era più distante dai centri abitati e ciò poneva qualche problema in più.
Il fatto di dover trasportare ingenti quantità di materiale, (possibile solo mediante l’uso di carri “Carri Matti” trainati da muli), aumentava notevolmente i costi e pertanto si era costretti a lavorare la pietra sul posto, lasciando gli scarti nelle vicinanze.
Era quindi molto il materiale perso che non fruttava.
Dopo l’invenzione del motore a scoppio si iniziò ad abbandonare le cave più distanti dalle borgate e dalle strade
carrozzabili.
Sui cumuli di roccia estratta, ancora oggi presenti nei pressi della cava, non è infrequente imbattersi in qualche fossile,
per lo più ricci di mare, ostriche e conchiglie.

Cava Vecchia

all’interno della Vecchia Cava


La Via dei Carri Matti

A valle, lungo la costa era (ed è) il mare a farla da padrone, assieme al traffico caotico e al turismo.
Quassù, lungo le pendici di Gallinari e Caprazoppa, erano invece le cave a dettare legge.
Luoghi a cielo aperto dai quali veniva estratta la famosa Pietra di Verezzi che ha visto coinvolti per moltissimi anni cavatori,
muratori e artisti che facevano di questo materiale una fonte di sussistenza, assieme all’agricoltura.
Tutto venne costruito con questa pietra: case, monumenti, utensili, fontane, lavatoi, macine, arredi, muretti a secco,
terrazzamenti, sculture, persino acciottolati e mulattiere.
Come scritto in altri box informativi inerenti ai percorsi di Borgio, questa era una pietra speciale, in quanto in essa
sono rimasti impressi fossili, soprattutto conchiglie (Pettinidi), appartenenti ad un tempo dominato dalla presenza del mare.
Ancora oggi, prestando attenzione alle pietre calpestate, è possibile imbattersi in questi fossili.
Una volta cavato il materiale dalla montagna e squadrato sul posto, toccava trasportarlo in paese o nelle borgate per
ulteriori lavorazioni più specifiche.
E come fare se non attraverso mulattiere e sentieri isolati appositamente realizzati?
Sulle strade più larghe passavano i “Carri Matti”, nei quali venivano deposti grossi blocchi di pietra trainati da uomini e
animali; per i sentieri più stretti transitavano coloro che si recavano ogni giorno alle cave, in luoghi isolati.
I blocchi di pietra non lavorati sul posto, venivano trasportati a valle, in paese, dove un molo consentiva di caricarli
sulle navi.
I carri adibiti al trasporto erano quindi molto solidi e resistenti, dovendo sopportare un carico enorme.
Proprio perché di dimensioni eccezionali o strani venivano chiamati “Matti”.
Gli uomini aiutavano a spingere questi carri comunque trainati da forti muli, buoi o cavalli.
Con l’apertura della strada di collegamento tra Borgio e Verezzi alla fine del 1800 e con l’invenzione dei mezzi a motore
i “Carri Matti” andarono in pensione, sostituiti dal progresso che richiedeva meno sforzo all’uomo.

i carri matti per il trasporto pietra di Verezzi

i carri matti per il trasporto pietra di Verezzi

operai al lavoro nelle cave

operai al lavoro di “sbozzatura” presso Poggio (foto da pannello in loco)

Lo stesso mare, parecchi metri più in basso, oggi è alquanto mosso e sferzato da un vento impetuoso.
La visuale sulla costa e sulle montagne è una favola tale che rimarrei qui, su una sedia, a fissare l’orizzonte e
respirare la salsedine.
Una bella sosta me la concedo, prima di riprendere il cammino verso est.
Accanto allo spiazzo d’erba le indicazioni indicano la via: dapprima con alcuni gradini in cemento e quindi con
qualche metro piuttosto ripido, supero un saltino roccioso su pietrisco nel quale, non fidandomi, appoggio a terra le mani.
Questo semplice gesto mi porta inconsapevolmente a scoprire un tesoro.
La mia mano è infatti appoggiata ad un grosso sasso sul quale è impresso un fossile di conchiglia!
Lo stupore è enorme e ancora non ci credo.
Ma non è solo questo blocco, anche altri, grandi, piccoli, medi.
Ci sono conchiglie fossili ovunque, visibili senza nemmeno aguzzare troppo la vista.
Basta guardare per terra.
Ne catturo giusto un paio nell’obiettivo per poi rialzarmi e proseguire in leggera discesa, ma sempre su sentiero un
po’ esposto a picco sul mare, verso il bivio sottostante, all’incrocio col
Sentiero Natura.
Inutile dire che questo tratto (chiamato “
u passu du Roccuo”), era un tempo molto più largo e percorso dai cavatori
impegnati a trasportare i blocchi verso la costa.
Scendendo vengo rapito dai colori del mare e della montagna, elementi così diversi ma ugualmente attraenti.
Un panorama da godersi fino all’ultimo istante, soprattutto in queste giornate dove non si registra altra presenza umana.
Quindi, occhi chiusi, vento tra i capelli e respiri profondi.
E chi vorrebbe mai uscire da questo quadro ad olio?
Eccomi al bivio: ogni istante è diverso, in ogni istante la luce cambia e regala colori incredibili.
Lassù, nel cielo, in alto mare, il sole squarcia le nubi qua e là e regala riflessi unici.
Immediatamente al di sotto, prima della battigia, l’Aurelia porta qualche rumore di auto e moto.
Non molti in questo periodo, ma che importa?
Da questi trampolini è possibile volare davvero con l’anima e la fantasia.

Continuando sul sentiero dei Carri Matti, le indicazioni sono chiare e semplici e indicano la salita verso il lato
nord-est del promontorio di Gallinari, già percorso nel
Sentiero Natura.
Ripassare di qua mi emoziona sempre.
Ecco di nuovo il tavolino da pic-nic accanto al cumulo di pietre dell’ex Cava Ronco, ecco nuovamente l’intricatissima e
bizzarra lecceta.
Che potenza della natura, che intrico di piante e rami!
Surreale, da immergersi dentro, non da descrivere.
Ai lati del sentiero si notano ancora molti blocchi e scarti di lavorazione abbandonati.
Al bivio sottostante la chiesetta di San Martino, mi concedo nuovamente la deviazione verso l’ex Cava della Chiesa,
che raggiungo percorrendo qualche metro del sentiero che si inoltra verso la Caprazoppa e poi deviando per una pista
più labile nella vegetazione.
Anche qui, pareti gigantesche, monumentali, rossicce e intagliate.
Si notano bene i livelli di taglio da cui venivano estratti i grossi blocchi di pietra.
La vegetazione purtroppo sta ricoprendo questi luoghi e un’opera di pulizia andrebbe fatta.
I numerosi terrazzamenti e muretti a secco inglobati dalla vegetazione sono la testimonianza di vecchie abitazioni e
casolari un tempo utilizzati dai cavatori.
Tornato sui miei passi salgo alla chiesetta, luogo più volte raggiunto ed “esplorato” dal quale però, data anche la vista
incredibile sulla costa, fatico sempre a staccarmi.
La chiesa e il Santuario adiacente oggi sono chiusi, ma il cimitero no, così posso approfittare per osservare bene da
vicino l’imponente tomba della Famiglia Cucchi, un’antica famiglia di Verezzi a cui si deve la costruzione della chiesa.


La Chiesa di S. Martino, il Santuario e la Tomba dei Cucchi

Dove oggi sorge la Chiesetta di S. Martino Vescovo, del 1625, un tempo si trovava la Cà di Fratti, una chiesa ancora
più vecchia eretta dai benedettini e rivolta verso il Finalese, mentre l’attuale si affaccia sul Pietrese.
Parte di quella chiesa vive ancora, trasformata in un bar-punto ristoro.
La sua costruzione venne affidata al priore Giovanni Tommaso Cucchi.
L’interno, in stile barocco ad unica navata, conserva importanti opere come la tela raffigurante S. Martino di Tours,
patrono di Verezzi, l’opera di Orazio de Ferrari
L’incredulità di San Tommaso, il pulpito del 1652 scolpito con la pietra
di Verezzi e le statue del XVIII secolo di
Santa Maria Maddalena, San Martino e Madonna del Rosario tra angeli.
Il campanile adiacente, di stile romanico, costituiva invece la vecchia chiesa e, miracolosamente, si è conservato.
Di fianco alla chiesa sorge il Santuario di “
Maria Regina Mundi”, noto in antichità come oratorio di Santa Maria
Maddalena, eretto nel XVII secolo.
L’interno conserva anch’esso lo stile barocco ad unica navata.
Sono qui conservate le statue dei santi Gioacchino e Anna, Gesù e San Giuseppe e la statua della Madonna Regina
con Gesù e angeli, dello scultore di Ortisei Luigi Santifaller.
Sul fianco sud del santuario tre steli riportano due preghiere e un ricordo ai caduti della Grande Guerra e della
Seconda Guerra Mondiale (1915-1918).
Alle spalle della chiesa si trova il cimitero comunale dove all’interno sorge la Tomba dei Cucchi, di cui fa parte un
bellissimo portale costruito con la Pietra di Verezzi che è stata estratta dalle vicine cave.
Maestosa la cupola sulla quale svetta il lanternino.
I Cucchi erano una nobile famiglia verezzina, oggi estinta, a cui si deve la realizzazione della chiesa di cui sopra.

la tomba dei cucchi

la Tomba dei Cucchi

Il luogo è immerso nel silenzio più totale a parte l’ululato del vento.
Resto per un pò anche oggi sul muretto a contemplare il panorama, ma dopo un po’ il vento vince anche con me
la sua battaglia e mi costringe a sloggiare.
Continuo dunque questo cammino prendendo la via a sinistra sotto la chiesa, sul versante di Borgio.
Un cartello in legno riporta l’indicazione di “Via da Ciappa”, già percorsa affrontando il
Sentiero Geologico.
Dopo qualche metro di facile e panoramica discesa, ecco di nuovo, sulla sinistra, la vecchia costruzione del capanno
di caccia e, poco più in giù, la Grotta della Madonnina.


Il capanno per la caccia e la Grotta della Madonnina

Questo era lo scopo di questa costruzione.
Venne costruito dalla famiglia Massanello parecchi anni fa quando si praticava la caccia agli uccelli.
Si ricopriva con del vischio un’asticella di ferro e la si poneva in mezzo alle fronde degli alberi.
Gli animali che si adagiavano sopra, rimanevano attaccati alla sostanza collosa.
Il casolare serviva durante la notte da rifugio per le gabbie in cui erano rinchiusi gli uccelli da richiamo mentre di giorno
tali gabbie si spostavano all’esterno in modo che i pennuti, col loro canto, attirassero altri loro simili che nell’ascolto
si poggiavano sulle panie (le suddette aste di ferro).
E dire che dall’esterno sembrava solo una casetta in pietra, comunque perfettamente squadrata lavorando la
pietra di Verezzi.
Alcuni metri ancora più in basso, sempre sulla sinistra, si aprono incredibili fenditure naturali nella roccia,
solo in parte modificate poi dall’uomo nell’attività estrattiva.
La Grotta della Madonnina, questo il nome, presenta antri, fenditure e piccoli passaggi che sembrano modellati alla
perfezione dalla mano di un gigante.
Inutile raccontare a parola l’esperienza che si prova nell’entrarvi.
Uno di questi passaggi ha proprio la forma di una serratura, dalla quale risalta il panorama sulle borgate di Verezzi e
sulla costa.

via dei carri matti

il passaggio a serratura della Grotta della Madonnina

Scendendo ancora lungo il sentiero arrivo ad un bivio, dove, sulla sinistra, parte un sentierino in direzione
della Cava del Colle che durante la percorrenza del
Sentiero Geologico avevo mancato di visitare.
Quale dunque migliore occasione per rimediare?
Senza difficoltà, nella boscaglia, zigzagando un po’, procedo fino a trovarmi di fronte il muro rossastro della cava
con ancora in evidenza il fronte di taglio.
Mi spingo un po’ più vicino fino ad arrivare quasi sotto la parete rocciosa che definire impressionante è dir poco.
Questa cava è rimasta attiva fin quasi la metà degli anni ’90 del 1900 e, tra tutte, si vede che è la più “moderna”.
Sul posto, nemmeno troppo nascosti e parzialemente avvolti dalla vegetazione, si trovano vecchie carrucole,
funicolari, cavi d’acciaio e argani adoperati per il traino e il trasporto dei blocchi che qui venivano estratti con le tecniche
più moderne, impiegando i fili elicoidali.
Come da tradizione della nostra specie, ad una montagna già ferita, l’uomo si è sentito in dovere di dare il colpo
di grazia, marcando permanentemente e invasivamente il territorio al suo passaggio, seguendo l’istinto degli animali,
i quali al contrario non recano alcun danno.
Ecco quindi che fin dove è arrivata la mano umana, le lisce e rosse pareti intagliate sono state ricoperte da scritte,
scarabocchi e graffiti di ogni genere, a riprova della costante e inesorabile involuzione della specie bipede.
Terminata la visita, anziché tornare dall’adiacente strada di accesso alla cava, torno sui miei passi, in quanto ho
ancora una cosa da vedere lungo l’itinerario principale.
Non faccio in tempo a voltarmi per rituffarmi nella giungla che odo, molto vicino a me, due belle fucilate.
Trasalgo un attimo mentre mi spuntano tre grossi punti interrogativi sulla testa?
Chi mi sta prendendo a bersaglio?
In realtà nessuno, è solo che dall’autunno alla primavera in tutte queste montagne (e un po’ ovunque in l’Italia)
è aperta la caccia.
In questi monti in particolare è stata recentemente emessa un’ordinanza che nelle giornate di mercoledì e domenica
si tengono battute di caccia al cinghiale, per ridurne il numero.
Oggi non è uno di quei giorni, ma qualche cacciatore può comunque praticare, essendo stata aperta la caccia
dal Governo.
Senza voler entrare nel merito della questione (chi legge le mie escursioni sa quanto personalmente tengo al
rispetto dell’ambiente e degli esseri viventi), ho voluto qui unicamente segnalare la cosa; se vedete un avviso di
battute di caccia particolari in determinati giorni, sconsiglio di affrontare escursioni.
Il rischio è quello di fare la parte del cinghiale…
Nel mio caso specifico, nessun allarme, a parte lo spavento.
Rimesso piede sul tracciato principale e sceso ancora più in basso per pietrame e roccette, arrivo alla famosa
lastra, “Ciappa”, nel dialetto locale.
Quest’area è una grande lastra rocciosa inclinata dove la vegetazione si tiene in disparte.
Qui venivano estratte e lavorate le macine da impiegare poi nei mulini.
L’attività risale ormai a qualche secolo fa e purtroppo sul terreno sono rimaste due sole grandi macine in bella vista.
Nei pressi, tra la vegetazione un po’ dormiente in questo periodo, catturo lo scatto di un bel Giaggiolo siberiano
(
Iris sibirica L.), dai colori molto intensi e in splendida forma.

Proseguendo dritto e ignorando la successiva deviazione lungo il Sentiero Geologico, mi ricongiungo sulla strada
di servizio della cava soprastante.
Continuando in discesa per la stessa, in breve ritorno al punto di partenza presso la Cava Pilino.
Sono giunto, ahimè, al termine di questo ultimo percorso della rete sentieristica “Borgio Natura” e, anche in questo caso,
la curiosità e le aspettative non sono state disattese.
Che dire infine che non sia stato già sviscerato?
Al di là delle parole, il consiglio è quello andare a vedere questi posti magici e di farvi un’idea di persona delle
ricchezze e bellezze di questo territorio.
Sono sicuro che dopo che avrete percorso questi itinerari, osservando questi monti, non avrete un’immagine vuota
e anonima, ma vi si stamperà un enorme sorriso sul volto, con la mente che non potrà non rievocare i bei momenti
passati tra borghi, grotte e panorami mozzafiato.
E, agli amici, potrete dire: “Borgio Verezzi? Pietra Ligure?
Li conosco molto bene; il mare e le montagne, lì, sono davvero sorprendenti!”

Relazione e fotografie di: Daniele Repossi

ponente ligure


Note:
la Via dei Carri Matti ripercorre i vecchi sentieri verso il mare e le borgate di Verezzi che i cavatori di pietre
percorrevano per trasportare il prezioso materiale, per il quale ci si serviva di appositi carri, chiamati “matti”.
L’anello qui descritto illustra il periplo completo del promontorio di Gallinari, che ingloba al suo interno ampi tratti già
affrontati nel percorrere la rete sentieristica di “Borgio Natura”, e ne affronta di nuovi, molto interessanti, che
permettono di vedere più da vicino il lavoro estrattivo delle cave.
Di per sé questo è l’unico itinerario che non interessa alcuna borgata di Verezzi, anche se per raggiungere il punto di
partenza, salendo a piedi da Borgio, si dovrà passare almeno da Poggio, evitando i tornanti dello stradone
(via Nazario Sauro).
La giusta conclusione della rete “Borgio Natura”, consigliatissimo e senza riserve.